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Gli argomenti, fondati o meno, a favore o contro la soluzione Bonafede sulla prescrizione sono ormai più che noti, e quindi non mi soffermo sugli stessi, salvo osservare come sia necessario affrontare argomenti tecnici in maniera tecnica, ciò vale per il diritto, come per la medicina (vedi le discussioni spesso “lunari” sui vaccini), e per tanti altri temi. Va anche detto che non esistono sistemi processuali perfetti in grado di evitare comunque il verificarsi di patologie.
Premesso quanto sopra, la questione è capire come il nostro sistema democratico, fondato sulla Costituzione, abbia voluto disegnare il processo o meglio il sistema della giurisdizione.
Diciamo subito che l’idea della giurisdizione riflette l’ idea di società e la nostra carta fondamentale ha voluto disegnare una società (e dunque una giurisdizione) fondata sul principio di eguaglianza e di solidarietà, con al centro la tutela della dignità della persona sempre e comunque, scelta questa derivata come reazione a un regime autoritario che negava il principio di eguaglianza, per affermare una sorta di giustificazione ordinamentale alla diseguaglianza, pensiamo alle leggi razziali, ai tribunali speciali, ecc…
I padri costituenti erano consapevoli del fatto che nessun diritto è definitivamente acquisito, che ogni libertà può essere messa in discussione, bastando a ciò un tratto di penna da parte del Legislatore di turno. E’ questa una considerazione centrale, perché vale a significare che comprimere un diritto di chiunque, anche del soggetto socialmente più riprovevole, e anche per fini che si ritengano giusti, significa comprimere il diritto di tutti, significa mettere in discussione una scelta di sistema e di società. Ecco per quale motivo la nostra Costituzione riesce, in nome della democrazia evoluta, a fare sintesi tra ideologie all’epoca molto distanti tra loro. Come quella cattolica, quella liberale, quella socialista.
La scelta dei costituenti è stata quella di individuare una giurisdizione (non solo penale) intesa come sede di libertà e di pari diritti per tutti, una idea di processo in cui si garantisca la presunzione di non colpevolezza, una idea di pena intesa si come punizione, ma in ogni ipotesi anche come strumento di recupero.
Naturalmente si tratta di una scelta che ha delle conseguenze, come qualsiasi scelta. Garantire i diritti di tutti significa anche individuare dei momenti di bilanciamento tra i diversi interessi in campo, ad esempio tra Stato e imputato, o tra questi e la parte lesa, ma sempre rifiutando l’idea che la società e lo Stato possano essere tentati di fondare il proprio agire su risposte che pongano anche solo a rischio la dignità della persona, la presunzione di non colpevolezza, la speranza del recupero del reo. In altre parole si vuole evitare che lo Stato finisca con il comportarsi come il possibile reo che con il suo agire contro legge abbia avuto in spregio i diritti altrui.
Ciò comporta che per assicurare il diritto di tutti a essere considerati non colpevoli fino a prova contraria, si deve garantire un tanto a chiunque, senza eccezioni. Aprire a eccezioni significherebbe iniziare a tracciare quel tratto di penna di cui più sopra. E lo stesso vale per la funzione della pena e per il diritto di chiunque a non restare sotto processo da parte dello Stato per un tempo indeterminato e indeterminabile. E’ una scelta, che alle volte porta inevitabilmente a situazioni non popolari, o poco comprensibili.
“Giustamente” chi è vittima, e non solo, ben difficilmente può condividere o comprendere opzioni che garantiscano in qualche maniera il presunto “carnefice-imputato”, o il condannato definitivo, specie di fronte a delitti efferati.
Qui c’entra lo Stato, c’entra la politica, c’entrano gli operatori del diritto, tra cui i magistrati e gli avvocati che hanno il compito di custodire i principi del giusto processo, c’entrano i media, che hanno il compito di informare correttamente, senza cedimenti di sorta alla ricerca del consenso, ma al contrario sapendo anche abbracciare scelte impopolari.
Come già accennato ogni sistema è imperfetto, il nostro sistema costituzionale e la sua idea di giurisdizione da inevitabilmente vita a delle criticità, così come, con ben più gravi conseguenze, accadrebbe per un sistema fondato sulla priorità della punizione, del carcere, della pena purché vi sia una pena. Un sistema quest’ultimo che vede nella assoluzione di un presunto innocente non una affermazione dello Stato di diritto, ma un fallimento dello Stato, o che processa mediaticamente il giudice che infligge una pena inferiore a quella richiesta dai “sondaggi” popolari, o che minaccia l’avvocato perché difende un imputato di un reato esecrabile, così negando il diritto inviolabile di tutti alla difesa.
In entrambi i sistemi ognuno potrebbe elencare patologie e possibili ingiustizie, per esempio sono oltre mille all’anno gli errori giudiziari accertati, così come dall’altra parte si potrebbe parlare, come viene fatto, di alcuni episodi di reati prescritti che hanno fatto scalpore (degni di scalpore sono comunque probabilmente pochi), al di là delle vere cause. Di certo tra le cause del maturare della prescrizione non possono allinearsi immaginarie e inesistenti tecniche dilatorie della difesa, sappiamo bene come quasi il 70% delle prescrizioni (per lo più di reati minori) si verifichino in sede di indagine preliminare, che qualsiasi rinvio chiesto dalla difesa non fa decorrere il termine prescrizionale, che il giudice può ammettere il numero di testi che ritiene, anche nessuno, che parlare di impugnazioni come strumenti dilatori sarebbe come negare al malato di seguire tutte le strade possibili di cura o di sollievo alla malattia, che in alcune sedi giudiziarie non si prescrive nulla a differenza che in altre.
Come avvocati, chiamati a garantire il diritto alla difesa per tutti, naturalmente difendiamo l’idea di giurisdizione tracciata dalla Costituzione, ma il punto non è questo, il punto è che credo che qualsiasi cittadino responsabile debba pretendere che temi fondanti l’dea di una società solidale e democratica, come la giurisdizione, vadano trattati con il metodo primo delle democrazie, ovvero il rispetto delle tesi e delle idee altrui, senza criminalizzazioni e uso di distorsioni comunicative.
Pensarla diversamente deve poter essere la norma, rispettare il ruolo degli operatori della giustizia, avvocati e magistrati, è importante per garantire la pace sociale e la mediazione dei conflitti attraverso il diritto e null’altro, men che meno la violenza.
La questione della durata dei processi penali, civili, amministrativi, tributari, sarebbe, come è sempre stato sotto ogni governo, facilmente risolvibile investendo in maniera importante in organico di magistrati, di personale amministrativo, di mezzi, in edilizia giudiziaria, e quindi potrebbero poi bastare pochi ritocchi processuali, e allora, per esempio, quanto al penale, l’istituto della prescrizione sarebbe meno rilevante a fronte di un processo garantito e di regola dalla durata ragionevole.
Il problema invece è condividere l’obiettivo di un sistema sociale che garantisca il rispetto di tutti, con i limiti di ogni sistema, e che dia centralità alla dignità della persona, e soprattutto evitare che strumenti fondanti lo Stato di diritto, come la giurisdizione, diventino mezzi di propaganda politica, di scelte basate sui sondaggi, di scontro tra tifoserie.
Tradiremmo lo spirito dei padri costituenti, che ben sapevano quale fosse il vero problema.