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Premessa metodologica, per capirsi col lettore: la categoria filosofica applicata all’interpretazione degli eventi di cui si parla è liberamente ispirata al pragmatismo deweyano. A John Dewey, filosofo e pedagogista americano si deve, infatti, la misurazione della realtà ( dunque anche della politica) non secondo ermeneutiche moralistiche bensì in base all’efficacia delle scelte compiute.
Pensiamo, dunque, alla politica come ad una grande partita a scacchi in cui le regole e i precedenti fanno da base di riferimento comune ma l’abilità dei giocatori si fonda sul pensiero creativo che piega regole e precedenti a sorprendenti colpi di scena.
Dunque Renzi ha giocato a scacchi in modo creativo: in questa estate italiana piena di turbolenze, che nel giro di un mese tra un ballo al Papeete, qualche faccia truce con digrignamento di denti e tonnellate di parole non sempre utilissime, è passata dall’inossidabile governo verdegiallo, al suo affondamento con un siluro freddo, alla preparazione delle liste elettorali per ottobre, al contrordine compagni non si vota più, al governo giallorosso; in quest’estate che sembra una piece di Vincenzo Salemme, se uno cerca lo spirito creatore, quello che può recitare l’om in sanscrito, si chiama, appunto Renzi.
Il pensiero pragmatico registrerebbe il suo gesto a sparigliare: in angolo, ad un passo soltanto dal voto ineluttabile con vittoria annunciata della destra salviniana e un assetto finale già deciso con il Movimento 5 Stelle declinante e una sinistra riaggregata attorno al Pd senza escrescenze spurie, Renzi sconvolge lo sviluppo della narrazione e, in dialettica col se’ di “mai con Grillo”, rimette in moto la politica.
Già perché, a ben vedere, nello stralunato assetto italiano si era consolidato uno schema che assegnava le parti a Pd, nuovo aggregatore del Polo di sinistra, candidato a gestire le “rendite di opposizione” nel prossimo giro elettorale, e alla Lega nuovo egemone nell’area di destra. Tertium non datur, soprattutto se di area liberalcentrista, detto così per semplificare.
Adesso il Terzo è dato e, quale che possa essere la sua consistenza in termini di consenso elettorale ( Mogol: lo scopriremo solo vivendo), un nuovo soggetto c’è ed è un player in questa complicata partita in cui in mezzo c’è quasi tutto. Ivi compresa l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Sul piano dei rapporti interni al Pd Renzi ha rivendicato d’aver compiuto un gesto di chiarezza, che a questo punto interpella qualcosa di più remoto ed ha a che fare con la fusione a freddo tra la Margherita e i DS, quando ancora far riferimento ad un’appartenenza ideologica aveva senso.
D’altro canto, però, senza quella fusione Renzi non sarebbe stato capo del PD e non avrebbe potuto esibire il risultato europeo del 2014. Esercizi dietrologici a parte la politica italiana si sta muovendo ed anche con una vertiginosa velocità. Penso ad un amico andato a fare una vacanza di qualche settimana in Australia alla fine di luglio.
Lasciò l’Italia con un Salvini ancora circonfuso dall’aureola del Conducator di alleanze e di governi, appena rifiduciato con l’applauso della maggioranza col decreto bis, i pentastellati mogi e bigi, il Pd grigio anche lui e tiggi’ social e la qualunque in un rosario di genuflessioni al Capitano, a qualche passo dall’uscita dall’Europa. Tornato da poco nel suolo patrio ci ha messo qualche giorno e una cura massiccia del Blob di Ghezzi su Rai tre per capire che cosa era successo. E ancora sostiene che gli manchi qualche passaggio.