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Il pm della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino, segretario di Magistratura Democratica
Dottor Stefano Musolino (segretario di Magistratura Democratica e sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria) cosa ne pensa di sostituire il gip con un organo collegiale per le ordinanze custodiali?
Se più persone possono valutare una richiesta cautelare l’esito non potrà che essere migliore, ma è una proposta irrealizzabile ad organici immutati.
In che senso?
Non ci sono magistrati a sufficienza per gestire in forma collegiale le misure cautelari pendenti. Non credo che più di tre o quattro tribunali metropolitani abbiano risorse per gestire una riforma siffatta, ma ben presto andrebbero in crisi anche quelli.
Abbiamo raccolto testimonianze di avvocati ma anche di ex magistrati secondo le quali l’informativa di polizia giudiziaria si ritrova poi attraverso un copia e incolla nelle ordinanze di custodia cautelare. Per alcuni ciò deriva dal fatto che i gip hanno troppo lavoro, per altri c’è una sorta di sudditanza nei confronti dei pm. Lei riscontra questo fenomeno? E se sì, quali sarebbero le cause?
Non è patologico riportare nell’ordinanza cautelare una fonte di prova, attraverso il cosiddetto copia- incolla della informativa a ciò dedicata, piuttosto l’onere del pubblico ministero e del gip dopo è verificare la capacità di resistenza logica e giuridica di quella dimostrazione a spiegazioni alternative plausibili, oltre che verificare la sussistenza nel fatto, così accertato, di tutti gli elementi costitutivi del reato per cui si procede. Le faccio un esempio.
Prego.
Non è affatto patologico che un gip in un’ordinanza cautelare riporti pedissequamente una parte dell’informativa della polizia giudiziaria per venti pagine, se poi nell’unica pagina successiva è capace di illustrare perché quei risultati probatori sono logicamente solidi e sono indicativi della integrazione della fattispecie di reato contestata. Anzi, a mio giudizio, quel gip avrebbe svolto bene il suo lavoro!
Il ministero della Giustizia sta pensando di sostituire il gip con Tribunale del Riesame per poi prevedere il ricorso in Corte di Appello. Fattibile?
È una ipotesi non percorribile. Con le risorse attuali i Tribunali del Riesame non riuscirebbero a gestire - in forma collegiale - il carico di lavoro oggi smaltito dai gip, in forma monocratica. Ma soprattutto sarebbe impossibile per le Corti di Appello reggere l’impatto del nuovo carico di lavoro. Chi fa queste proposte non sa che già oggi molte Corti di Appello non sono in grado di gestire gli stringenti termini dell’improcedibilità, imposti dalla riforma Cartabia ( una sorta di amnistia generale, imputata alla magistratura, perché il Parlamento non se ne vuole assumere la responsabilità)? Non sa che molte Corti di Appello gestiscono a fatica i soli processi con detenuti? Come si immagina di scaricare ulteriore attività su Uffici che sono già al limite o sotto il limite della capacità di gestione degli affari correnti?
Senza trascurare il problema dell’incompatibilità.
Questa amplificherebbe i problemi che ho sopra segnalato, creando ulteriori ostacoli alla gestione delle poche risorse disponibili, sino a generare un irrisolvibile corto-circuito organizzativo. Insomma, un gran pasticcio!
Posto che comunque lei è d’accordo sul principio della collegialità, in sintesi ritiene che sia infattibile a cause delle risorse che mancano?
Sì, c’è un problema reale di risorse umane: senza un aumento significativo degli organici nessuna riforma che impone una maggiore partecipazione dei giudici alle decisioni può trovare sfogo. Oltre a ciò si dovrebbe rivedere anche la struttura del processo.
Che intende?
Immagino una riforma che possa coinvolgere l’intera struttura portante del processo, creando delle sezioni pre-dibattimentali che sostituiscano il gip con competenze nuove ed autonome, agendo in composizione monocratica o collegiale a seconda della rilevanza del bene giuridico coinvolto. Ad esempio una misura cautelare reale o non coercitiva potrà essere definita da un solo magistrato, mentre quelle personali coercitive potrebbero essere decise da un collegio. Ma anche in questo caso, nessuna riforma può essere immaginata senza un ponderale aumento degli organici.
Cosa pensa di un super interrogatorio prima dell’arresto?
Tutte le forme di anticipazione del contraddittorio, rispetto all’emissione della misura cautelare, sono efficaci. Una delle differenze tra quando il gip emette la misura e il momento in cui la stessa misura viene esaminata dal Tribunale del Riesame è proprio questa: che quando si arriva al Riesame il quadro probatorio è cambiato, perché l’intervento dell’indagato con il suo interrogatorio e del suo avvocato con le produzioni e gli argomenti difensivi consentono al giudice di avere una visione più ampia e consapevole del tema di prova. Il punto è capire se e quanto questa previsione è compatibile con il pericolo di fuga e, soprattutto, con la gestione di misure cautelari che coinvolgono molte persone. Ogni volta che il numero dei soggetti coinvolti si amplia, la gestione di questa fase preliminare diventa complessa.
Divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare: come bilanciare i diritti in gioco?
Credo che si tratti di un difficile equilibrio. L’informazione sull’applicazione di misure cautelari è funzionale alla trasparenza ed alla conoscibilità dell’attività giurisdizionale, che sono requisiti connaturati ed essenziali al suo esercizio. Il diritto dell’indagato a non essere pregiudicato da questa informazione può essere garantito molto più dalla cultura, dalla deontologia e dalla professionalità dei giornalisti, piuttosto che da improbabili divieti. Purtroppo la bulimia del circuito mediatico ha bisogno sempre di nuove e sensazionali notizie e questo deteriora la qualità dell’informazione a discapito dei diritti di immagine di chi ne diventa oggetto. È una decadenza culturale dalla quale non credo se ne esca, imponendo divieti.