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arbitrato
In occasione della riunione straordinaria del G7 la Presidente del Consiglio Nazionale Forense Maria Masi ed i Presidenti Nazionali delle Avvocature francese, tedesca, britannica e canadese hanno presentato ai Ministri una dichiarazione sulla situazione in Afghanistan per esprimere la profonda preoccupazione circa il destino di coloro che, specialmente donne, lavorano nel settore della giustizia e difendono i diritti umani. Nella dichiarazione si sottolinea la necessità di garantire il diritto di asilo a qualunque afghano affinché possa lasciare il Paese di origine e spostarsi altrove in sicurezza. Le Avvocature formulano una precisa richiesta ai Governi dei Paesi del G7: garantire la sicurezza di tutti coloro che tutelano i diritti umani ed in particolare le donne magistrate ed avvocate.Questa iniziativa suggerisce qualche riflessione sul ruolo che l’Avvocatura può ricoprire nei rapporti con i Governi (e con i Legislatori) e sulle opportunità che una struttura associativa di categoria può offrire nell’interlocuzione con la politica in generale.Senz’altro a diversi lettori non sarà sfuggito che all’appello delle avvocature firmatarie del documento mancano i rappresentanti di ABA, l’American Bar Association, e del JFBA, la federazione giapponese degli ordini forensi. Non è la prima volta – e probabilmente non sarà l’ultima – in cui non si riesce a raggiunge un accordo globale sul tenore delle dichiarazioni, così nell’ambito forense come in molti altri, anche se l’avvocatura si dimostra generalmente molto più sensibile di altre categorie laddove ci sono in gioco i diritti fondamentali. D’altro canto, le odierne défaillances sono ampiamente compensate dall’adesione allo “statement” da parte di due membri osservatori, l’associazione nazionale degli avvocati d’Australia ed il CCBE, il Consiglio degli Ordini forensi europei. Quest’ultimo organo, che rappresenta le avvocature di ben 45 Paesi dello spazio economico europeo, è organismo consultivo del Consiglio d’Europa in ambito legislativo con riferimento alla tutela dei diritti oltre che riguardo al rafforzamento dell’indipendenza dell’avvocato nell’esercizio della professione. Non si pensi che questa relazione sia scontata: tutt’altro! All’ufficializzazione del rapporto si è pervenuti solo a giugno di quest’anno con la formale redazione e sottoscrizione di un cosiddetto “mou” (memorandum of understanding) dopo mesi di gestazione volti a ad ottenere il risultato più importante, ovvero quello di veder riconosciuto quale interlocutore di riferimento per le questioni attinenti alla difesa dei diritti, l’ente che rappresenta l’intera avvocatura della Grande Europa, il CCBE. Le culture in generale e quelle giuridiche in particolare sono assai diverse da paese a paese, peculiari a seconda della latitudine o della longitudine. Nei vari Paesi l’organizzazione e le regole della professione forense si sono evolute subendo l’influenza della cultura di quello stesso territorio e del suo sviluppo in ambito economico, tant’è che comportamenti ritenuti del tutto consoni nei paesi di influenza anglosassone, sono deontologicamente censurati nei Paesi di più antica tradizione cattolico romana, si pensi all’utilizzo della corrispondenza tra colleghi o il pagamento in percentuale sul ricavato da una lite. Allo stesso modo, figure recentemente apparse nel panorama litigioso dei nostri lidi, e viste con sospettosa diffidenza, sono ormai esperienze consolidate oltr’Alpe, come il terzo finanziatore della lite. È evidente di fronte alla difficoltà di trovare obiettivi unanimemente condivisi, percorsi comuni e concordare strategie, la chiave risolutiva sia la valorizzazione di ciò che accomuna i difensori dei diritti piuttosto che di quello che li distingue, a cominciare dal rispetto per i principi di democrazia e dello stato di diritto. Le diverse visioni divengono a questo punto un’unica visione, quella della tutela dei diritti fondamentali che garantiscono il rispetto di ogni diversità. Con questa voce unitaria l’Avvocatura si fa espressione della tutela dei diritti di ciascuno e assume il ruolo di interlocutore qualificato nei confronti delle Istituzioni e, a pieno titolo, può rivendicare la sua funzione propositiva nell’azione governativa a tutela delle persone. (*capo delegazione italiana al CCBE)