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Entro quest’anno il programma di digitalizzazione totale promosso dal governo di Singapore, la città- Stato orientale più tecnologica, più sicura, più pulita ( e più controllata) del mondo, avrà installato nel modesto perimetro dei suoi 719 kmq, tanto è grande il suo territorio, 200.000 smart objects ( telecamere, droni, microsensori, app volontariamente scaricate sugli smartphone) per completare la realizzazione del monitoraggio assoluto h24 su tutta la popolazione. Di che cosa parliamo? Di un ordinamento giuridico che riesce a giustificare un tale livello di pervasività nella vita dei suoi cittadini da ricavare spazio anche a sanzioni per chi dovesse uscire dal bagno privo dell’accappatoio.
A casa sua, intendo. Ovviamente Singapore ha vinto la sua battaglia sul coronavirus in modo brillantissimo: conta un decimo degli abitanti del nostro paese e, pur avendo subito l’impatto esplosivo della prima ondata di contagio nella vicina Repubblica Popolare Cinese, registra oggi solo 12 decessi per il covid 19. Insomma, in scala, è come se l’Italia avesse avuto solo 120 morti invece che 27.000.
Ovviamente Singapore ha attivato da subito l’app per il tracciamento dei contagiati, riuscendo a garantire una copertura pressoché completa della popolazione. Sorge spontaneo il sospiro speranzoso: allora ben venga questa app italiana anti- coronavirus, annunciata dal governo per il 18 maggio e divenuta subito oggetto di dotte e animate discussioni ( sindrome guelfoghibellina tutta italiana e poco singaporiana) tra costituzionalisti blasonati e editorialisti celebrati!
Ora, dando per accolta la posizione di chi, come il garante della privacy, chiede garanzie convincenti per la gestione di questi dati sensibilissimi, ci facciamo noi una domanda. Semplice, tonda ed elementare: a che cavolo serve un monitoraggio via smartphone della popolazione se non è totale? E’ evidente che lo smartphone non è strumento presente in ogni ambito sociale ne’ in tutte le classi di età. Parte, dunque, con l’handicap di un digital divide che taglia fuori “a priori” quanto? Un 20- 30% della popolazione? Guarda caso soprattutto quella over 60, quella che Colao voleva murare in casa perché è più a rischio. Dunque quella che dovrebbe essere “tracciata” per prima non ci potrà essere.
Ma il punto è che la restante parte della popolazione, quella più giovane e gagliarda, non ha, per evidenti ragioni di compatibilità con la tutela costituzionale del diritto fondamentale alla riservatezza, di cui gode ciascun essere umano che calchi il territorio italiano, nessun obbligo di scaricarsi l’app, così come non ce l’ha la persona che avverta sintomi della malattia o la attraversi in modo conclamato. Allora? Che si fa? Si punta sul senso civico degli italiani in lockdown dall’ 11 marzo? Quanti ne potranno rispondere del residuo 70/ 80%, al netto del digital divide? Non è chiaro quanto alta possa essere la soglia del minimo sindacale per il funzionamento della app: gli esperti parlavano nei giorni scorsi di almeno il 60% degli italiani. La ministra proponente e scegliente la app, ci rassicura dicendo che basterebbe di meno.
Ma facciamo pure l’ipotesi che la app miracolosamente dal giorno 19 maggio compaia su quasi tutti gli smartphone degli altri italiani al netto di chi l’aggeggio non ce l’ha e non potrà mai averlo. Poniamo che solo il 10% degli italiani, non anziani e non colpiti dal digital divide, se ne vada in giro per il territorio seguendo tutte le prescrizioni dei dpcm contiani ma rifiutando di farsi tracciare: sarebbero 6 milioni di italiani. Non basterebbero questi, potenziali portatori di virus che tuttavia continuano a seguire le norme di comportamento imposte, a mandare a gambe all’aria l’epopea dell’app miracolosa?
Non siamo Singapore ( ma anche in Cina, in Corea, Hong Kong) e non professiamo la dottrina confuciana, che annulla l’individuo per il collettivo e santifica il rispetto per le gerarchie. Siamo in Italia, paese meraviglioso, che ha costruito la sua cultura sulla centralità dell’individuo e sulla sua inviolabilità. Siamo la patria dell’umanesimo e del Rinascimento, del gesto dell’artista e dell’artigiano, gesto “individuale”. Che ne faremo di una app che immagazzina tanti dati personali sulla salute e che molto probabilmente non arriverà a realizzare l’obiettivo che si prefigge? Per cosa mai la useremo?
Un amico mi ricordava una vignetta del fumettista americano Johnny Hart, autore di una striscia surreale con protagonisti dei cavernicoli. Uno, mostrando all’altro un rudimentale apparecchio telefonico fatto di ossa di mammut, gli chiedeva un parere sull’ultima invenzione. Che non avrebbe mai squillato per mancanza di altri utenti. Ecco: la storia di questa app potrebbe somigliarli alquanto.