Provocazioni ripetute da tutte le parti in causa che rappresentano le prove dello scontro vero e proprio. I lanci di droni di Hezbollah su Israele e i jet israeliani che sorvolano Beirut sono episodi che anticipano la risposta, annunciata pochi giorni fa, dell’Iran.

«Va detto, però – evidenzia Claudio Bertolotti, direttore di Start In-Sight e ricercatore associato Ispi -, che l’Iran non ha nessuna intenzione di essere coinvolto direttamente in una guerra con Israele che non sarebbe in grado di sostenere». Bertolotti è anche l’autore del libro “Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas” ( edizioni Start InSight, 325 pagine). Il ricercatore dell’Ispi racconta la storia di un lungo conflitto combattuto da Israele contro Hamas e che si estende ben al di là della vista e della percezione pubblica.

Dottor Bertolotti, mai come in questo periodo Israele è costretto ad affrontare grandi minacce con l’Iran in prima fila sostenuto da Hamas, Hezbollah e Houti?

Israele oggi è collocato nello spazio geografico peggiore degli ultimi sessant’anni. Tutti gli attori interessati sono stati mobilitati da Teheran e hanno la capacità e la volontà di colpire contemporaneamente. Di questo ne sono consci gli stessi israeliani. Occorre aggiungere che i nemici di Israele non hanno intenzione in questo momento di portare a compimento un attacco che possa essere davvero pericoloso per l’esistenza di Israele.

L’attesa dell’attacco alla quale stiamo assistendo indica la volontà di organizzarsi al meglio per arrecare il maggior numero di danni ad Israele?

L’Iran, come capofila, non ha nessuna intenzione di essere coinvolto direttamente in una guerra con Israele, che non sarebbe in grado di sostenere. Di questo abbiamo avuto una prima conferma il 17 aprile scorso, quando, a fronte di un massiccio attacco con diverse tipologie di vettori aerei, droni, missili e razzi, non sono stati arrecati danni significativi. Anzi, non è stata bucata la difesa israeliana. Il problema è che ci sono attori di un livello più basso, fra questi inseriamo il principale, Hezbollah, che morde il freno, non tanto per portare Israele verso un conflitto aperto quanto per indebolirlo sempre di più. Il fatto che ogni singolo attore agisca con una sorta di autolimitazione è indicativo della volontà di alzare l’asticella, senza arrivare a un conflitto aperto. Si intende pungere Israele da più parti, senza far precipitare tutto in un conflitto regionale che Israele, con buona probabilità, sarebbe in grado di sostenere anche grazie al supporto statunitense. Credo che uno degli obiettivi principali sia quello di indebolire Israele da un punto di vista politico e diplomatico. Negli ultimi nove mesi, inoltre, Israele ha perso parte di quel credito acquisito sul piano delle relazioni internazionali.

Hezbollah è una sorta Stato nello Stato. Il Libano è ostaggio del “Partito di Dio”? Quanto è disposto a rischiare Nasrallah questa volta nello scontro frontale con Israele?

Io temo che Hezbollah si stia spostando sempre più verso una sottile linea rossa, senza la volontà di superarla. Spesso i calcoli razionali vengono superati dalle decisioni irrazionali, conseguenti a fatti non previsti. L’uccisione di dodici ragazzini nel Golan non era il vero obiettivo di Hezbollah, che intendeva danneggiare Israele assumendosi eventualmente il rischio di uccidere anche dei civili. La strage dei giorni scorsi ha provocato la ferma reazione israeliana con l’uccisione di uno dei principali comandanti di Hezbollah. Il “Partito di Dio” in questo momento è di fatto l’alleato principale di Teheran, subordinato in termini di condotta operativa. Tant’è che anche da un punto di vista pratico ha appena sostituito i droni utilizzati per colpire Israele, sostituiti con gli Shaheed 101, gli stessi che l’Iran fornisce alla Russia per attaccare l’Ucraina. La tecnologia bellica è di un livello più elevato e con maggiore capacità di offendere.

Stati Uniti e Russia quarant’anni anni fa giocavano una partita su blocchi contrapposti come potenze mondiali. La loro forza è mutata in questo scenario in cui si rischia una guerra regionale?

Gli equilibri sono saltati, ma non è una questione di oggi. Si tratta di una conseguenza del crollo dell’Unione Sovietica. Da allora la Russia ha tentato e sta tentando di riposizionarsi come attore primario in competizione con gli Stati Uniti. In realtà non ci è riuscita e non ci riuscirà, in quanto questo ruolo le è stato scippato dalla Cina. Rispetto a Pechino, Mosca sta assumendo il ruolo di paria, più subordinato e dipendente. Gli Stati Uniti al contrario sono una potenza egemone in progressivo declino che rischia di non incidere più, come una volta, sulle dinamiche mediorientali. In merito alla crisi in corso, la Russia sta tentando di rafforzare i competitor israeliani, con in testa l’Iran.

L’Iran potrebbe avvalersi dello strumento del “terrorismo di Stato” o vorrà giocare solo a carte scoperte dichiarando vendetta contro Israele?

L’obiettivo dell’Iran, come dimostrato fino ad oggi, è quello di rafforzare e spingere i suoi alleati di prossimità a colpire e a indebolire Israele. Questa strategia possiamo anche inserirla nella tipologia del terrorismo di Stato, in quanto Teheran intende appunto terrorizzare i cittadini israeliani e, di riflesso, lo Stato israeliano di cui vorrebbe sostanzialmente la distruzione. Per raggiungere i suoi obiettivi fa leva sulle istanze dei gruppi terroristi o di opposizione palestinesi, Hamas, Jihad Islamica palestinese, e sostenendo gli altri piccoli eserciti non statali, come Hezbollah in Libano e Houthi nello Yemen. L’Iran ha di fatto sposato un approccio violento, radicale, senza però volersene assumere formalmente la responsabilità.

Quanto rischiano i soldati del contingente Unifil, presenti sulla “Blu line”?

Se ci atteniamo all’attuale mandato, il rischio non è quello di un coinvolgimento diretto, ma è semplicemente quello di trovarsi su un terreno di scontro. A quel punto verrebbe meno il ruolo fondamentale di interposizione tra le parti. Se Hezbollah e Israele dovessero effettivamente confrontarsi con un'azione diretta, in territorio libanese, Unifil perderebbe la sua efficacia. Altro discorso riguarderebbe una modifica del mandato. In questo caso dovrebbe avvenire una riorganizzazione dell’intero strumento militare con un nuovo equipaggiamento. Questa ipotesi la ritengo comunque improbabile.