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L’argomento è spinoso, quasi avverso. E’ uno di quelli che marchiano d’impopolarità - secondo i canoni correnti - chiunque ne parli. Il finanziamento pubblico ai partiti è diventato giorno dopo giorno il totem da abbattere e il simbolo della malagestio della politica italiana. Senza interrogarsi sui rischi che corre un sistema democratico se viene chiuso il rubinetto delle erogazioni “regolari”.
Naturalmente tutto questo non vale nei riguardi di Ugo Sposetti, storico tesoriere del Partito Comunista prima e di tutte le sue trasformazioni poi. In seguito, da parlamentare del Pd, ha continuato a difendere il finanziamento pubblico ai partiti e, anzi, nel 2011 propose di raddoppiarlo, incassando senza una piega la secca presa di distanze dell’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Perché a suo avviso è stato un errore abolire il finanziamento pubblico ai partiti?
Perché il finanziamento della politica è un’esigenza del sistema democratico. E’ la democrazia stessa, infatti, a presupporre che esista un sostegno pubblico, elargito con la massima trasparenza ovviamente, ma che garantisca la possibilità di svolgere attività politica. Solo così si può garantire a tutti questo diritto e non solo ai più ricchi.
E finanziamenti, altrettanto trasparenti, non potrebbero invece arrivare da privati?
Il suo è un errore logico, purtroppo comune, che mi dispiace. Le erogazioni liberali, come anche il 2 per 1000, sono comunque sempre finanziamenti pubblici. Se lei domani decide di fare una donazione di 100 mila euro a un partito, questa cifra si detrae dalle tasse che lei versa allo Stato. Dunque quei soldi li toglie a un asilo nido, non alle sue tasche. Lo stesso vale per il 2 per mille, che è un contributo ancora più pubblico perché si tratta di una partita di giro: lei versa il cento per cento delle sue tasse allo Stato, poi lo Stato ne versa lo 0,2% al partito. Si tratta a tutti gli effetti di finanziamenti pubblici, anche se guidati da volontà soggettiva.
Ad abolire definitivamente il finanziamento pubblico è stato un governo di centrosinistra.
Il decreto legge di Enrico Letta del dicembre 2013 fu un errore e una violenza alla democrazia, e il tempo mi ha dato ragione.
In che senso?
Guardi com’era il Paese nel dicembre 2013 e lo confronti con il presente. Quella cancellazione non ha prodotto risultati, ma è stato un errore politico che ha aiutato il populismo.
Fu una sorta di ammissione di colpa della politica?
Glielo dico chiaro: il populismo si combatte, non gli si liscia il pelo. Servivano argomenti convincenti per impedire che quell’onda salisse. Invece il centrosinistra, con quel decreto legge, ha alimentato quell’onda. E’ stato come dire: «Avete ragione voi populisti, ora vi dimostrerò che sarò io a togliere i soldi ai partiti». Una sciocchezza epocale.
Si tornerà mai indietro?
Guardando l’attuale classe dirigente del Paese, direi di no. E badi bene, non mi riferisco solo alla maggioranza, ma anche all’opposizione. Io sono un ultrasettantenne e continuo a combattere, ma oggi non vedo nessun quarantenne pronto a fare la mia stessa battaglia per difendere le istituzioni e i partiti.
La ragione, però, è intuibile: destinare soldi alla politica è impopolare, socialmente ed elettoralmente.
Beh, non mi sembra che ora il centrosinistra abbia il problema di perdere la sua popolarità, anche elettorale. Conti un po’ quanti voti si sono persi, da quel 2013. Non so bene se questi quarantenni se ne rendono conto.
In ogni caso, chi parla di finanziamento pubblico alla politica viene subissato dalle critiche, per questo tutti i politici se ne tengono ben lontani.
E allora dovrebbero cambiare mestiere. Si è classe dirigente se non ci si fa trascinare dal popolo e dalle onde, ma se lo si guida e se si esercita la propria funzione pedagogica.
Se fosse rimasto il finanziamento pubblico, la politica italiana di oggi sarebbe diversa?
( Sposetti si ferma un attimo a riflettere) Questo io non lo so. Dico solo che, se ci fosse il finanziamento pubblico aiuteremmo una nuova classe dirigente a crescere. Con quei soldi si potrebbe fare formazione, dando ai giovani gli strumenti per capire che la politica va vissuta, va difesa e va aiutata.