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«Un pilastro della democrazia? No guardi, a rischio ce ne sono almeno tre o quattro: la presunzione di non colpevolezza, il diritto alla difesa e l’esercizio indipendente della giurisdizione, che si fonda anche su quel patto sociale condiviso per cui due parti in contesa si affidano a un giudice».
Luigi Spina è un moderato nei modi, oltre che nell’adesione associativa. È componente del Csm eletto tra le file di Unicost ed è anzi ilportavoce della “corrente centrista” a Palazzo dei Marescialli. Ma al di là delle sigle di appartenenza, la misura è una sua convinta scelta personale . Ecco, un magistrato così deve avere allora motivazioni davvero profonde per parlare di «rischio per la democrazia negli attacchi ai magistrati» di cui, dice, «Avellino è solo l’ultimo caso».
Con i togati di Area e di Autonomia & Indipendenza lei ha chiesto che il Csm apra una pratica a tutela dell’intera magistratura rispetto a minacce e insulti rivolti ai giudici nelle aule di giustizia, soprattutto a chi “osa” assolvere. Non è solo una risposta alla vicenda specifica di Avellino, dunque.
Il processo per le vittime del bus è appunto solo l’ultimo in ordine di tempo. Se ne contano tanti, tantissimi, in questi anni. Innanzitutto la tragedia di Milano, costata la vita a un magistrato, a un avvocato e a un imputato. La tragedia sfiorata al Tribunale di Perugia. Le urla alla lettura dei dispositivi come è avvenuto per esempio alcuni anni fa a Velletri: in quel caso si trattava di condanne ritenute eccessive dai familiari degli imputati.
Veri e propri atti di guerriglia, ci furono 20 arresti.
Con la pratica che chiediamo di aprire nella prima commissione del Csm intendiamo svolgere una riflessione su un quesito, innanzitutto: la serenità di giudizio che deve avere chi stabilisce se un imputato è colpevole, quella condizione di serenità, è ancora un valore? Le reazioni suscitate dalla lettura di alcune sentenze possono essere anche comprese sul piano umano, ma sono evidentemente il segno di un clima molto pericoloso per l’esercizio della giurisdizione L’Italia ha una straordinaria tradizione giuridica e un ordinamento tra i più progrediti sul piano delle garanzie, nel civile e nel penale: come si spiega la frattura tra opinione pubblica e giurisdizione?
Non si tratta di un fenomeno apparso da un giorno all’altro: è la conseguenza di una sfiducia che si è diffusa nei confronti della magistratura, amplificata da determinate circostanze.
E come si spiega questa sfiducia?
Il giudice è chiamato a dettare la regola del caso concreto. Di fronte a un conflitto, interviene a risolverlo con una decisione. In una fase di grandi difficoltà sul piano sociale, tali tensioni, che nascono proprio dai conflitti, finiscono per scaricarsi anche sul giudice. In una forma particolarmente pesante, e percepibile a mio parere nel settore civile prima ancora che nel penale. Il punto è che qui ci troviamo di fronte all’essenza stessa della democrazia: il principio per cui se c’è un conflitto interviene un giudice terzo a definirlo. Ma se sui giudici si scarica una così grande tensione, è chiaro che la loro stessa funzione viene delegittimata.
Un pilastro della democrazia è a rischio: quanta sottovalutazione c’è di tale pericolo?
Aspetti: innanzitutto non è un solo pilastro. Vogliamo elencarli? Il principio di non colpevolezza, innanzitutto.
Articolo 27 della Costituzione.
Il diritto di difesa, articolo 24. E poi il patto sociale basato sul pilastro della giustizia condivisa. Va benissimo che le sentenze siano criticate ed esaminate, ma credo che tutti dovremmo farci carico di essere molto attenti soprattutto quando si tratta di processi attorno ai quali c’è grande attenzione sociale.
La caccia al giudice è la nemesi per gli eccessi di qualche “pm- Savonarola” da Tangentopoli in poi?
No guardi, non credo proprio che quella stagione storica c’entri qualcosa. A parte il fatto che la magistratura nel suo complesso penso abbia dato in questi anni prova di grande continenza, ma lei davvero pensa che la strage nel Tribunale di Milano, la tentata strage in quello di Perugia o le minacce di Avellino possano spiegarsi come un precipitato di Tangentopoli? Di invettive e insulti ai giudici nelle aule di giustizia ce ne sono tanti, di molti non arriva alcuna particolare eco sui media, come nel caso dei vetri rotti e a quel “vi diamo fuoco” rivolto ai giudici di Velletri. Ripeto, sono convinto che l’origine sia piuttosto nel clima di tensione e nel fatto che chi è chiamato a giudicare e sanzionare è adesso ancora più esposto.
Dalla “pratica a tutela” del Csm cosa può venire? Un documento ufficiale del plenum o anche una richiesta di convocare degli “stati generali” della giustizia?
Be’, della prima commissione del Csm sono un componente e credo sia giusto che prima confronti le mie idee con quelle degli altri consiglieri. Confido molto in una riflessione aperta e condivisa anche con la componente laica, che annovera esponenti di spicco dell’avvocatura. In particolare i penalisti sono convinto che abbiano una forte sensibilità per il rispetto della presunzione di non colpevolezza.
Sarà interessante la riflessione sviluppata con i laici indicati dalle forze politiche di maggioranza.
Allude all’ipotesi che possa non esserci un’assoluta condivisione sulla gravità del problema? Se è così, credo sia impossibile non trovarsi d’accordo.
La sintonia tra magistrati e avvocati sui rischi per la giurisdizione può diventare una forza?
Non sono mai riuscito a considerare l’avvocatura come un antagonista istituzionale della magistratura. Ogni magistrato coltiva un profondo rispetto per il difensore. E su determinati principi non c’è mai stata dissonanza. Pensiamo oltretutto all’avvocato che ad Avellino si è trovato a difendere un imputato già dato per colpevole dall’opinione pubblica: il rischio è lo stesso. Non è in discussione il rapporto con l’avvocatura ma la tenuta delle istituzioni e i princìpi democratici.