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«Sì che serve, la collaborazione. È preziosa, e credo molto nell’idea che un maggiore condivisione, nell’autogoverno, fra magistratura e avvocatura possa consentire anche una difesa della giustizia più efficace. Nel senso di poterne tutelare l’autonomia da eventuali sconfinamenti della politica. Va tutto bene e, in nome di tale scenario condiviso, trovo giusta la norma che sottopone i magistrati alle valutazioni dell’avvocatura nei Consigli giudiziari. Vorrei solo che l’apertura fosse reciproca. Che anche a noi magistrati fosse consentito di partecipare alle decisioni delle istituzioni forensi, innanzitutto sulla formazione, che deve essere in gran parte comune».Armando Spataro è una figura chiave nell’ordine: della magistratura inquirente (da ultimo come procuratore di Torino), dell’autogoverno della magistratura (ha fatto parte del Csm) e dell’associazionismo giudiziario (è stato ai vertici dell’Anm e leader della corrente “Movimento per la giustizia”). Soprattutto, Spataro va annoverato, con Bruti Liberati e Pignatone, in una ristrettissima élite di pm che hanno diretto le più importanti Procure d’Italia negli ultimi anni. Ed è, come gli altri due magistrati in questione, più aperto, di quanto non sia l’attuale Anm, alla riforma che riconosce agli avvocati il diritto di votare sulle “promozioni” dei magistrati, contenuta nella riforma del Csm. Ma lo è in una prospettiva di schietta reciprocità, appunto, con l’avvocatura.