PHOTO
«La prescrizione così congegnata è oggettivamente sbagliata», è il lapidario commento del professore emerito di Diritto processuale penale, Giorgio Spangher, che però mette in guardia da facili scorciatoie per ridurre la lentezza dei proces-si: «Eliminare l’appello significa mettere in discussione le garanzie dei cittadini, i loro diritti e libertà».
Professore, perchè lo stop alla prescrizione dopo il primo grado è un meccanismo sbagliato?
Perchè in questo modo non si determinano tempi certi per la celebrazione dei giudizi di impugnazione. La riforma Bonafede, di fatto, fornisce una nuova scadenza per i pm.
Cosa intende?
Oggi il pm decide quali reati lasciar prescrivere nella fase delle indagini preliminari e lo dicono le statistiche, che mostrano come moltissimi reati si prescrivano esattamente in questa fase. Il pericolo ora è che il pm parta dal presupposto di portare a processo più reati possibili, perchè tanto dopo il primo grado non si prescriveranno più, sia che l’imputato sia condannato, sia che venga assolto. Questo cambierà l’atteggiamento del pm ed è molto pericoloso, perchè sarà di fatto un nuovo termine del processo, oltre il quale non ci sarà più prescrizione.
Quale correttivo propone?
Io avevo suggerito di eliminare la sospensione della prescrizione in caso di sentenza di proscioglimento. Il presupposto è che per il condannato la presunzione di innocenza sia più affievolita rispetto a quella del prosciolto, che invece è piena. Si tratta certamente di un compromesso, ma può essere che la politica possa accettarlo, dovendo trovare la quadratura del cerchio tra posizioni distanti.
La prescrizione si inserisce nel quadro della riforma del sistema penale e l’ex procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha ipotizzato di eliminare l’appello per rendere più il processo più efficiente.
Con tutto il rispetto che ho per Roberti, penso che non si possa trattare il processo in questo modo, perchè significa annullare garanzie, diritti e libertà. Nemmeno il fascismo riuscì a eliminare il divieto di reformatio in peius e l’appello, che sono alla base della nostra cultura giuridica.
La sua tesi è di eliminare l’appello nel caso in cui il primo grado si sia svolto con rito ordinario, mentre di mantenerlo nel caso di riti speciali.
Ragionando in termini giuridici, mi sembra un paradosso. Le faccio un esempio: chi sceglie il patteggiamento accetta gli esiti del processo cui si giunge attraverso un accordo. Proprio in questo caso si rinuncia a una parte delle garanzie, tra le quali l’appello. Non solo, che fine farebbero senza il grado d’appello tutti i casi in cui si verificano nullità o invalidità nei giudizi, oppure di prove sopravvenute? Pensiamo, inoltre, a quanti proscioglimenti pieni vengono pronunciati in secondo grado, che sono frutto di una diversa valutazione dei fatti da parte di un collegio.
L’appello non va toccato, dunque?
A me pare che il giudizio d’appello già si sia ridotto, grazie all’introduzione della specificità dei motivi di appello. Proprio questo obbligo così stringente nell’indicare le ragioni dell’appello avverso la sentenza di primo grado giustifica l’appello come un giudizio di controllo, non come un nuovo giudizio. Questo meccanismo può rallentare i tempi, ma fortifica il valore e l’affidabilità della sentenza.
Cosa andrebbe modificato, allora, dell’impianto del processo penale?
Non voglio certo tornare al codice Rocco e al giudice istruttore, ma io credo che vada rafforzato il giudice delle indagini preliminari. Prima della riforma Vassalli, il processo era incardinato sulle indagini, con un giudice istruttore forte affiancato da un giudice debole e senza poteri, che fungeva solo da controllore delle garanzie costituzionali. Con il cambio di rito, il pm è diventato fortissimo ma il giudice delle indagini preliminari è rimasto debole. Ecco, il suo ruolo va riformato e rafforzato, per esempio con maggiori poteri di controllo sui tempi delle indagini.
Ritiene che questo possa velocizzare i processi?
Io credo che per ottenere questo risultato sia innanzitutto necessario risolvere i problemi dell’organizzazione degli uffici, procedendo poi a una seria opera di depenalizzazione. Così si inizia a risolvere il congestionamento della giustizia, non certo eliminando l’appello.
Manterrebbe invece l’obbligatorietà dell’azione penale?
Mi sembra un falso problema, perchè già ora di fatto l’obbligatorietà non esiste. Il pm iscrive le notizie di reato ed esercita l’azione penale quando vuole ed è ovvio che sia così e che qualcosa si perda, quando un sostituto procuratore si ritrova sulla scrivania più di cinquecento fascicoli.