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Con un po’ di ironia potremmo definirle “elezioni de 'noantri": leader blindati e poi mariti, mogli e addirittura qualche fratello. Del resto era prevedibile: nel momento in cui il Parlamento, avvinto da una sorta di sindrome di Stoccolma nei confronti della furia barbarica grillina, ha deciso - 553 voti a favore e 14 no - di tagliare il numero di seggi, ecco, da quel momento è stato chiaro che ne avremmo viste di tutti i colori. E così è stato: mai la compilazione delle liste è stata così penosa. Rese dei conti, imboscate e addii. Ma non è questo il problema. Che la politica fosse “sangue e merda”, lo aveva chiarito decenni fa Rino Formica. Il punto piuttosto è un altro: è il vuoto politico che attraversa i partiti, tutti i partiti. Ora, qui occorre dire che le ragioni di questo vuoto sono tante: c’è una crisi di sistema, una smarrimento dei partiti magistralmente raccontata da Sabino Cassese sul Corsera di ieri che non può essere certo risolta entro il 25 di settembre. Ma noi ci saremmo accontentati di molto meno: della narrazione, del benedetto storytelling, di quel raccontino superficiale - il minimo sindacale per un partito - che almeno avrebbe aiutato gli elettori a capire che razza di Paese abbiano in mente. E dire che, in questi anni di fluttuazioni vorticose del voto, abbiamo ascoltato “narrazioni” di ogni tipo: prima c’è stata la “rottamazione” renziana; poi il vaffa dei grillini, infine la “belva securitaria” di Salvini. Tre racconti per tre leader, tutti e tre arrivati tra il 35 e il 40% e poi crollati miseramente. Adesso è il turno del “pronti” di Meloni: pronti a far governare una donna e pronti a mettere la faccia di una ex missina. La contronarrazione dem è inesistente, incagliata nell’eterno spauracchio della destra post fascista ed “eversiva” che, peraltro, non ha mai funzionato. La verità è che i democrat semplicemente non hanno una storia da raccontare al Paese. O almeno non ancora…