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La determinazione e il coraggio di arrivare alla verità che non si arrestano di fronte a nessun rito di circostanza, che non traballano anche quando il linguaggio si fa sprezzante. Sono qualità che appartengono solo alle donne? Fiammetta Borsellino, Ilaria Cucchi, le madre di Ilaria Alpi, di Carlo Giuliani, di Federico Aldrovandi, di Giulio Regeni. E per altri versi, Carola Rachete. Generazioni ed età differenti ma ciascuna di loro è testimonianza della forza interiore che pervade le donne, rendendole irriducibili fin quando non arrivano alla meta.
Non si tratta di eroine bensì di donne normali: semplici seppur fiere e appassionate, abituate a ragionare, a scavare dentro di sé per trovare e manifestare la determinazione per continuare a non arrendersi di fronte alle ingiustizie, ai continui depistaggi che nascondono i percorsi per arrivare alle verità. Donne che hanno speso e stanno spendendo ogni attimo della loro vita per ricostruire i fatti, per costruire quei puzzle complessi dove a sparire sono sempre i tasselli fondamentali. Sono esempi di donne orgogliose che non mollano, sfidano e guardano negli occhi l’interlocutore, affrontano ogni tipo di confronto o comportamento anche quelli meno appropriati. Che comunque vanno avanti, non si lasciano intimorire da attacchi e spesso volgarità becere, alcune provenienti da cariche istituzionali che dovrebbero al contrario fornire esempi di stile. Donne che hanno tratti comuni di assoluta riservatezza, pacatezza ma capaci di procurare forte incisività in chi le ascolta.
Fiammetta Borsellino è una donna esemplare e contemporanea che riesce a fondere e conciliare vita familiare, lavoro, e impegno civile per diffondere la cultura della legalità ai ragazzi delle scuole, delle parrocchie. A chiunque racconta e pone la sua domanda di giustizia con quel suo incedere calmo e ricco di ricordi vissuti con il padre. Una determinazione intrisa di dolore vivo e penetrante che non lascerà il posto a nessuna rassegnazione fino a quando non si arriverà alla verità.
Chi di noi non è stato fortemente toccato dall’appello di Luciana, la madre di Ilaria Alpi, per chiedere di non chiudere con l’archiviazione le indagini sull’uccisione in Somalia della figlia giornalista e del cineoperatore Miran Hovratin. Anche quando le forze la stavano abbandonando. Sempre fiera e diretta verso chiunque ha provato a consolarla, a rassicurarla che tutto il possibile era stato fatto. Luciana ha chiesto a tutti di non arrendersi, e lei l’ha fatto per prima. Assieme a quei genitori che si sono consumati per seguire le tante tracce e mettere insieme il puzzle che ha portato al depistaggio della scomoda verità. Il volto disegnato da guerriera di Ilaria Cucchi è una delle opere recenti dello street artist Jorit che l’ha dipinta in un grande murales a Napoli. Dove si legge questa frase: “Per non dimenticare, per far comprendere a tutti che anche la vita degli ultimi conta! Perché potrebbe accadere a chiunque, anche a te. Perché chi sbaglia non può essere chiamato a rispondere con la vita“.
Ilaria Cucchi è stata una donna pervicace, ostinata nella sua battaglia senza riserve contro i depistaggi della giustizia. Il volto delicato ma un’identità forte costruita strada facendo e capace di mettere in crisi parecchi esponenti dell’Arma dei carabinieri. Non ha voluto, né ha potuto rassegnarsi alla consegna di quel corpo martoriato del fratello Stefano. E’ una sorella che pretende giustizia affinché anche ai più deboli siano assicurati i diritti costituzionali. Chi ha voluto ferirlo e calpestarlo senza ragione? Perché un tale accanimento? Lei con il volto toccato dal dolore ma immobile di fronte ad ogni deposizione dei testimoni, di fronte ad ogni elemento che potesse giustificare l’ingiusta barbarie su un corpo già così fragile. Ilaria portavoce di una battaglia civile ci ha fatto sentire sorelle e fratelli di Stefano e di tanti come lui. Perché chiunque figlio, fratello, sorella, potrebbe trovarsi - e molti casi di ingiustizia lo dimostrano - nella condizione di Stefano Cucchi. Ilaria ci ha insegnato a non fermarsi, a non farsi impressionare dalla costruzione di una verità che appariva tanto scontata. Ilaria ferma, decisa e rispettosa, ha conquistato tutti fin quando perfino i denigratori non hanno più trovato armi per colpire. Così come Caròla Rackete, per alcuni “sbruffoncella” “ricca, viziata”. Una donna al timone di una nave Ong: che già solo per questa condizione avrà sollecitato gli istinti più bassi di competitività, di invidia e di rabbia, non solo maschile. Allora l’odio e l’insulto, spesso alimentati se non addirittura fomentati, sono diventati il mezzo per denigrare, mortificare, infangare la donna Caròla.
Sono figure di donne resilienti, e tante altre si potrebbero citare e ricordare. Sono le partigiane del nostro tempo. Ciascuna a modo suo, insegnano che i principi, i fondamenti del diritto e della giustizia vanno difesi. Sempre e in ogni condizione.