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Alcuni giorni fa, in non ricercata solitudine, questo giornale ha dedicato il titolo principale alla proposta del leghista Giancarlo Giorgetti di un dialogo tra le principali forze politiche «per fare le due o tre cose che servono al Paese» e poi andare al voto.
Una scelta non casuale. Perché quella proposta, sfrondata dalle strumentalità e dell’occhieggiamento alla convenienze del particulare, è l’unica che può consentire di uscire dall’attuale stallo per cui il governo è troppo debole per cadere, non ci sono alternative all’attuale maggioranza, nessuno - tanto meno i parlamentari che, salvo referendum, sanno di essere tagliati dalla riforma appena approvata - ha voglia di elezioni e il risultato che il Paese vive una condizione di immobilità sommersa da polemiche feroci tra alleati e no. Che si possa andare avanti così per anni fino al termine della legislatura è un atto di autolesionismo in cui, tuttavia, in parecchi si crogiolano.
La proposta di Giorgetti sta lì, riemerge carsicamente e l’attacco di Matteo Salvini al Meccanismo europeo di stabilità, che si sposa con le critiche di Di Maio, sembrano zavorra per farla definitivamente affondare. Eppure l’Europa, se e come starci, è il tema principale tra quelli che dovrebbero essere affrontati. Il rapporto politica- giustizia continua a terremotare ( è così da decenni) il sistema- Paese e la sua tenuta. L’inchiesta su Open di Matteo Renzi è benzina sul fuoco, mentre lo scontro tra M5S e Pd sulla prescrizione conferma che l’esercizio della giurisdizione e il ruolo della magistratura resta un nervo sciaguratamente scoperto.
Sempre su questo giornale, il presidente del Cnf, Andrea Mascherin, ha lanciato l’unica proposta costruttiva: un patto tra i due partner di maggioranza per superare rigidità e preconcetti, con garanzie reciproche e dispiego di fiducia bipartisan.
Arriviamo così al nodo di fondo. Che è stabilire non tanto gli argini entro cui l’azione politica deve dispiegarsi - intento comunque lodevole e da implementare - quanto gli scopi che devono animarla. In uno Stato democratico, dove legittimi interessi e necessità convivono e si confrontano, la politica non può che essere finalizzata a trovare le possibili convergenze tra gruppi e forze diverse, avendo ben presente che splendidi isolamenti e ricerca ossessiva del meglio spesso producono eterogenesi dei fini e sono nemici del bene. Urlare è più comodo che ragionare: ma più inutile e dannoso.