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Siamo al fianco delle afghane nel segno di Lidia Poet
«Ecome potevamo noi cantare / Con il piede straniero sopra il cuore, / fra i morti abbandonati nelle piazze / sull’erba dura di ghiaccio, al lamento / d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero / della madre che andava incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo? / Alle fronde dei salici, per voto, / anche le nostre cetre erano appese, / oscillavano lievi al triste vento».
Alle fronde dei salici. S. Quasimodo Ero al liceo e questa poesia mi fulminò, come a volte accade quando si è giovani e idealisti, quando si crede fermamente che certi orrori non possano tornare e si resta abbagliati dal talento di chi, come Quasimodo, ci ha lasciato versi scolpiti a futura memoria.
Mai avrei pensato che la stessa poesia, riletta oggi, potesse apparire così tragicamente attuale. Non riesco a non pensare che le immagini che da una settimana vengono riportate dai media costituiscano la più devastante sconfitta del percorso che il cosiddetto occidente ha compiuto nella storia moderna e questo in modo del tutto eclatante per quanto riguarda la condizione della donna.
È stata inaugurata a luglio la targa commemorativa davanti all’area giochi giardini del palazzo di giustizia di Torino a ricordo di Lidia Poet, prima avvocata iscritta all’albo e i presenti non hanno potuto che avere un moto di insofferenza nel sentire le motivazioni che furono dispiegate per impedirglielo nel 1883, immaginandole quale frutto di una mentalità retrograda e maschilista, da doversi ritenere morta e sepolta.
Oggi apriamo la finestra sul mondo e vediamo l’orrore di donne costrette in casa, costrette a subire la mortificazione di abbigliarsi in modo adeguato alla dottrina, a non poter avere aspirazioni di qualsiasi tipo, a vedersi negato il diritto allo studio per non voler dar corso alle peggiori ricostruzioni che le vedrebbero costituire un “bottino di guerra”.
Non mi permetto di sconfinare in ambiti che non mi appartengono ma vivo da giorni una sensazione di impotenza rabbiosa, di disillusione terribile ripensando a tutto il percorso filosofico e giuridico che ha portato alla affermazione delle democrazie occidentali: non è accettabile che si assista inerti a questo strazio, non è pensabile che si possa solo allargare le braccia e sperare che qualcuno si muova a trovare soluzioni che, di giorno in giorno, divengono sempre meno praticabili.
Non si tratta di far distinzioni tra ruoli, professioni o nazionalità, ogni donna dovrebbe sentirsi in dovere di far sentire la sua voce per dare aiuto e supporto alle donne afghane, in un concetto di “femminile” che deve diventare comune retaggio a livello mondiale. Sennò altro non resterà che appendere le nostre cetre ai salici… (*consigliera Cnf)