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Nel nostro Paese il principio di non colpevolezza ha subito un’evoluzione tormentata. È passato attraverso accese dispute, ma continua a restituirci l’affermazione del diritto al più alto grado della gerarchia delle fonti. Ciononostante, il riconoscimento di questo diritto non è bastato a garantirne un soddisfacente livello di attuazione. Occorre comprendere nella giusta luce il profondo significato di questa garanzia, le ampie potenzialità che vi sono sottese, le ragioni della sua evoluzione e affermazione, per avvedersi della funzione propulsiva e riformista che la presunzione di non colpevolezza riveste nel sistema processuale.
Non è un caso che detto principio sia accolto negli ordinamenti moderni e recepito a livello europeo come un diritto fondamentale dell’uomo. Tuttavia, credo per una questione culturale, ancora appare difficile ad alcuni, sebbene legislatori, comprendere e recepire il senso, non solo giuridico, della garanzia che questo principio assicura a qualunque persona, la cui colpevolezza dev’essere legalmente provata prima di essere utilizzata impropriamente nelle dichiarazioni pubbliche.
In una società in cui il crescente rancore sociale si è trasformato in cultura giustizialista, il principio sancito dall’articolo 27 è stato praticamente capovolto. La condanna mediatica arriva molto prima e con effetti molto più invalidanti di quella giudiziale, senza considerare che spesso detti effetti superano le risultanze del processo e anzi si pongono con esse in senso diametralmente opposto. In un Paese che annovera, purtroppo, numerosi errori giudiziari, che hanno devastato l’esistenza a molti, non è accettabile che nel corso di conferenze stampa, articoli e servizi giornalistici ben poco professionali, diffusi attraverso i vari mezzi di comunicazione, gli imputati e, ancor prima, addirittura i semplici sospettati e poi gli indagati vengano presentati come colpevoli, inculcando in tal modo nel pensiero comune una certezza inaccettabile in uno Stato di diritto.
È gravissimo infatti che le notizie spesso indotte unicamente dalla gogna mediatica prendano il sopravvento sulla verità giuridica e dei fatti condannando le “vittime” a subire gli effetti di un processo virtuale fatto di ipotesi e congetture che influiscono pesantemente e negativamente sulla vita loro e, in molti casi, dei familiari, anche in presenza di assoluzione. Considerando inoltre che nel nostro Stato la pena ha funzione rieducativa, la condanna mediatica sempre, ma a maggior ragione se priva di fondamento, rappresenta una violazione alla nostra Costituzione che è, invece, intrisa di principi di piena garanzia alla tutela della persona e dei diritti fondamentali. È necessario lavorare a una legge che responsabilizzi chi, attraverso la propria azione, molto spesso indirizza l’opinione pubblica creando un livello distorto dell’ informazione che lede ogni forma di garantismo democratico e costituzionale. Se comunicare è importante, ancor di più è il modo con cui si veicola l’ informazione.