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«Per l’Iran sogno una democrazia vera. Fino ad allora non tornerò, perché al mio paese servo di più all’estero, dove porto la voce di chi non ne ha». Shirin Ebadi, giurista, avvocato e premio Nobel per la pace nel 2003, è stata arrestata è perseguitata dal regime degli Ayatollah per il suo attivismo per i diritti umani. Le è stato impedito di fare la giudice, perché donna. Eppure continua a lottare e sogna un Iran libero e laico.
Perché ha scelto di diventare prima giudice e poi avvocato?
Perché amo la giustizia. Mio padre era giurista, insegnava giurisprudenza e da lui ho imparato ad essere femminista e ad amare il diritto. Sono cresciuta in una famiglia musulmana, ma in casa ho imparato il valore della laicità.
Lei è stata la prima donna giudice iraniana, a Teheran. Con la rivoluzione del 1979, le venne inibita la sua professione perché era una donna e solo dopo ha potuto iniziare a esercitare come avvocato. Come è stato cambiare fronte?
La professione di giudice e quella di avvocato hanno una cosa in comune: la difesa dei deboli. Come avvocato ho scelto di fare una sola cosa: difendere i prigionieri politici per reati di opinione. Questi detenuti sono diventati numerosissimi dopo la rivoluzione e nella maggior parte dei casi non avevano soldi per pagare un difensore. Così, poteva accadere che non avessero difesa oppure che li difendesse un avvo- cato dello stato, che però non li tutelava davvero.
Con quali possibili condanne?
La pena per i reati di opinione può essere anche la morte. Quel che è peggio è che pochissimi avvocati sono disposti a difendere questi detenuti, perché temono di avere problemi con il regime. Io per difenderli ho fondato un’organizzazione non governativa, che opera per garantire la difesa gratuita dei diritti umani.
Come ricorda il suo paese, prima della rivoluzione dell’ 8 marzo 1979?
Prima della rivoluzione, il benessere economico era più alto e le libertà personali erano molto maggiori. Non avevamo però alcuna libertà politica, perché lo scià era un dittatore. Per ottenere queste libertà abbiamo fatto la rivoluzione e io ero tra quei rivoluzionari. Molto presto, però, ci siamo accorti che avevamo commesso un grave errore e che la dittatura religiosa degli Ayatollah è molto peggio di quella politica.
Come è cambiata la sua vita dopo il premio Nobel per la pace, nel 2003?
Il Nobel mi ha messo a disposizione molti microfoni, molti megafoni con cui far sentire la mia voce e le idee di chi lotta per i diritti umani. D’altro canto, ha anche aumentato la diffidenza e l’odio del regime nei miei confronti: le autorità mi hanno sequestrato tutti i beni e hanno sostenuto che il premio mi è stato conferito perché il comitato del Nobel era contro il regime iraniano.
Il 20 maggio, il moderato Hassan Rohani è stato rieletto presidente dell’Iran. Può essere la strada per un maggior rispetto dei diritti umani?
Questo presidente è stato rieletto dopo quattro anni di mandato, ma negli ultimi anni non c’è stato alcun cambiamento nel paese. La ragione sta nella Costituzione iraniana, secondo la quale tutti i poteri sono concentrati nelle mani del leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, eletto a vita e non dal popolo, ma da un gruppo del clero persiano. Il presidente Rohani ha quindi poteri molto limitati ed è chiaro che, fino a quando il leader supremo rimarrà in vita, qualsiasi cambiamento è molto difficile.
Lei è stata umiliata dal regime e privata del suo lavoro in quanto donna, ma ha detto che “il principale nemico del regime sono le donne, e il regime lo sa”.
In Iran, anche oggi, più del 60% della popolazione universitaria è donna, tra docenti e studenti. Le donne sono presenti in tutti i campi lavorativi ad alto livello e non accettano le leggi discriminatorie contro di loro. Per questo il regime le teme, anche perché sono loro ad educare la prossima generazione. Ecco, io credo che l’influenza della donna nella società iraniana, oggi, sia molto maggiore di quella dell’uomo.
Lei, da musulmana, lotta per avere un Iran laico. Come si concilia con un Islam così pervasivo, almeno nella percezione occidentale?
È facile. L’Italia non è in prevalenza cristiana? Eppure il vostro governo è laico. La religione è un fatto personale e non va mischiata con la politica. Del resto, in Europa non avete certo dimenticato cosa è stata l’Inquisizione.
Lei ora vive a Londra. Proprio il Regno Unito, ma anche molti altri paesi europei, sono stati duramente colpiti dal terrorismo. Da osservatrice, come si combatte questa violenza?
Prima di tutto voglio esprimere il mio dispiacere per i terribili eventi. Ho una domanda, però, da fare a voi europei: vedete che questa violenza viene commessa dalla seconda o addirittura dalla terza generazione di migranti, questi crimini vengono commessi da chi è nato e ha studiato in Europa? Non vi chiedete che cosa è accaduto, proprio in Europa, a queste persone?
Secondo lei che cosa gli è accaduto?
Io credo che per estirpare la radice del terrorismo non basta ammazzare i terroristi, perché c’è sempre poi qualcuno che segue questa strada di violen- za. Bisogna ricordare che queste persone non sono venute dall’esterno e che quindi la radice si trova in Europa. Queste persone sono state umiliate: la società non le ha mai accettate e le ha messe al margine. Questo ha fatto sì che non abbiano più creduto nella giustizia è abbiano scelto la violenza.
Ha seguito le primavere arabe in Libia, Tunisia ed Egitto?
Io credo che ognuno di questi stati, anche dopo la rivoluzione, diventerà veramente democratico solo quando le loro donne avranno gli stessi diritti degli uomini. Non prima.
Condivide i timori dopo l’elezione di Donald Trump?
Trump è il presidente statunitense, un pessimo politico ma un ottimo uomo d’affari: è andato in Arabia Saudita e ha venduto 110 miliardi di dollari di armi agli arabi, senza pensare quante persone queste armi ammazzeranno. Però, nonostante io non condivida per nulla le sue politiche, credo che L’Europa sbagli ad attribuire qualsiasi fenomeno negativo avvenga a causa di Trump.
Tornerà, un giorno, in Iran?
Io credo che ognuno debba vivere nella propria patria. Io non torno in Iran non perché tema la prigione, sono già stata in carcere e non mi spaventa. Se però venissi arrestata, la mia voce non arriverebbe più da nessuna parte. Fuori dall’Iran posso essere molto più utile al mio Paese. Ovunque vada, io parlo della situazione in Iran e sono il megafono di chi non ha voce. Questo fa arrabbiare ancora di più il regime e più volte sono stata minacciata di morte. I dittatori non vanno d’accordo coi difensori dei diritti umani.
Ha mai pensato di occuparsi di politica, come hanno fatto molti premi Nobel?
No, io sono un avvocato e difendo i diritti umani. Lo farò per tutta la vita e, per farlo, bisogna essere controllori del potere, non politici.
Che cosa sogna per il suo paese?
La vera democrazia. E, quando verrà, il mio sogno è di tornare a casa mia e occuparmi dei bambini soli. Ho due figlie e un nipote e mi piacerebbe aprire un orfanotrofio, dove lavorare per i bambini.