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Questo non è tempo, ancora, di bilanci. Ma certamente di alcune riflessioni sull’impatto del Coronavirus sul nostro ordinamento costituzionale. E soprattutto sulla nostra costituzione materiale, che stava vivendo – secondo la classificazione fattane da Giuseppe Guarino – la sua quinta fase, dovuta all’attuazione dei Trattati dell’Unione Europea. E soprattutto all’introduzione dell’euro. Una fase lunghissima, iniziata nel 1992 e non ancora conclusa.
I suoi effetti sono stati epocali. Per ragioni esterne e interne sono scomparsi i partiti politici della Prima Repubblica. Mentre alle attuali formazioni partitiche, si è aggiunta, come organismo anch’esso portatore di una impropria funzione di indirizzo politico, un’associazione non riconosciuta, quale l’Associazione Nazionale Magistrati. Come le cronache di questi giorni sembrano dimostrare.
Ma soprattutto è divenuto determinante il vincolo esterno, che ha condizionato la politica di bilancio e quella fiscale dei governi italiani, perché quella monetaria spetta alla Bce. Queste sono cose sin troppo note. A esse si è aggiunta l’emergenza della pandemia, che ha avuto un duplice profondo impatto sulla nostra costituzione materiale.
Sul piano interno è avvenuto che una fonte secondaria del tutto atipica, perché non prevista dall’art. 17 della legge 400/ 1988, ha compresso oltre ogni limite i diritti di libertà della Costituzione. Ciò sulla base di autorizzazioni in bianco contenute in decreti legge, che essi stessi non avrebbero avuto la capacità di prevalere sulla Carta Costituzionale, se non nei limiti desumibili dall’art. 32. In ogni caso attraverso un bilanciamento e un adeguato scrutinio di proporzionalità.
Mentre l’erompere dell’emergenza non sembra aver consentito tutto questo e si è assistito a una “verticalizzazione“ di tale attività normativa, senza alcun coinvolgimento preventivo del Parlamento, che è stato di fatto il grande assente nel periodo dell’emergenza.
Quindi la Costituzione del 1948 ha mostrato, alla prova della più grave emergenza affrontata dalle comunità nazionale dopo la sua entrata in vigore, una flessibilità e una derogabilità da parte di fonti a essa subordinate che non era ipotizzabile in precedenza.
Sul piano del vincolo esterno, invece se ne è verificata un’attenuazione forse insperata. È rapidamente scomparso il “fiscal compact”, che ci avrebbe condannati alla deflazione perenne. Ma non solo.
La Commissione Europea, in presenza di una circostanza eccezionale che ha investito nello stesso modo tutti gli stati dell’Unione, ha rapidamente derogato ai noti valori di riferimento circa i disavanzi pubblici eccessivi, previsti dall’art. 126 Tfue dal 12° Protocollo dei Trattati.
Pertanto, prevedibilmente, non opereranno più per molto tempo gli inderogabili limiti del 3% tra disavanzo pubblico e Pil e del 60% tra debito pubblico e Pil. Il carattere “simmetrico” della crisi ha dunque consentito il superamento di quei “vincoli” che, già prima dell’introduzione dell’Euro, avevano pesantemente condizionato la politica di bilancio della Repubblica Italiana. Si è così aperta un’opportunità eccezionale.
Nonostante la gravità della situazione. Che in tre mesi ha prodotto un numero di decessi pari a oltre un quarto di quello delle vittime civili del secondo conflitto mondiale nel nostro Paese.
Pertanto, come è stato colto nei suoi interventi per la Festa della Repubblica dal più importante organo di garanzia del nostro ordinamento costituzionale e cioè dal Presidente della Repubblica, questo deve essere il momento dell’unità nazionale. E di uno sforzo comune per la ripartenza e per la ricostruzione. I prossimi mesi ci diranno se le forze politiche presenti in Parlamento sapranno raccogliere questo monito.
Ma se esso rimarrà inascoltato si aprirà la più grave crisi economica e politica della nostra storia repubblicana.
E la stessa unità della Repubblica ne uscirà lacerata e nei fatti rimessa in discussione, come alcuni episodi hanno già dimostrato.