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In una situazione istituzionale disordinata, provocata dalla presa di posizione del secondo partito della coalizione, si deve partire da qualche punto fermo di diritto costituzionale. Oggi il Presidente Conte si presenterà in Senato. Sono state calendarizzate domani le dichiarazioni alla Camera e il giorno dopo il quarto e ultimo voto, sempre alla Camera, per l’approvazione della legge costituzionale di riduzione dei parlamentari. Non è stata ancora calendarizzata né la mozione di sfiducia della Lega a Conte, né quella del Pd al Ministro Salvini. Dopo il discorso in Senato, sono possibili diversi scenari: a. Conte parla e sale al Quirinale a presentare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica ( ciò può avvenire sia prima che dopo aver sentito le dichiarazioni dei gruppi parlamentari; potrebbe anche ascoltare le dichiarazioni dei gruppi e rinviare ogni decisione a dopo lo svolgimento del dibattito alla Camera); b. Conte chiede il voto sulle sue dichiarazioni e viene esplicitamente sfiduciato;
c. ovvero chiede il voto e raccoglie la fiducia da parte di una maggioranza diversa da quella iniziale ( Lega e Cinque Stelle); d. o infine chiede la fiducia e la ottiene da parte della maggioranza originaria.
Nei casi a. e b., la crisi di governo si apre formalmente e entra in gioco il Presidente della Repubblica ( che nel caso a. potrebbe anche rinviare il Governo alle Camere per un esplicito voto).
Secondo chi scrive, la crisi si apre anche nel caso c. giacché nel nostro ordinamento la fiducia è data al Governo e non al solo Presidente del Consiglio.
Nel caso d. tutto potrebbe riprendere come prima, tranne la necessità di ritirare la mozione di sfiducia della Lega e l’obbligo di mettere in votazione quella contro il Ministro degli interni ( anche se se presentare una mozione di sfiducia a inizi agosto, salvo poi ritirarla quindici giorni dopo, forse non corrisponde al principio costituzionale che vuole che le funzioni pubbliche siano adempiute con disciplina e onore).
In caso di formale apertura della crisi i lavori parlamentari, per un principio costituzionale implicito, si bloccano e il voto sulla riforma costituzionale rimane congelato ( ma non decadono i voti precedenti).
Il tema dell’ultimo voto comunque si ripresenta se si forma una maggioranza di governo e la legislatura prosegue; discutibile che la questione del quarto voto possa rimanere in piedi se la crisi si chiude con lo scioglimento ( le Camere sciolte possono compiere solo eccezionalmente alcu- ne attività e, in ogni caso, bisognerebbe garantire almeno i novanta giorni per la raccolta delle firme per la richiesta referendaria da parte dei parlamentari; pur se qualche caso di voto dopo lo scioglimento c’è stato, appare politicamente contraddittorio che un voto sulla composizione del Parlamento avvenga a Parlamento sciolto). Se si apre la crisi, il Capo dello Stato inizia doverosamente una fase di consultazioni, che, ancorché non esplicitamente prevista, è regolata da una sicura, e unanimemente accettata, norma consuetudinaria.
In una forma di governo parlamentare, i governi si formano, si rompono, si riformano in Parlamento, e la valutazione sulla loro formazione è affidata non solo alla costituenda maggioranza politica, bensì anche al Presidente. È quello che vedremo nei prossimi giorni: oggi le variabili sono ancora talmente tante ( ricomposizione della vecchia maggioranza, scioglimento immediato, governo elettorale, nuova maggioranza), le sfumature dei diversi attori così differenziate, i dati conosciuti così pochi, che nemmeno una macchina di intelligenza artificiale ( che funziona secondo l’implacabile logica binaria del “se, allora”) riuscirebbe a far funzionare le sue capacità predittive.