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Lo scontro tra Consiglio Superiore e pubblici ministeri, sul metodo utilizzato per la scelta dei ruoli direttivi negli uffici giudiziari, in particolare di quelli inquirenti, ha dimostrato in maniera lampante che la magistratura da “ordine autonomo” è diventato “potere” e il potere ha sempre un valore politico.
In tante battaglie che abbiamo portato avanti in Parlamento e in numerosi scritti anche di valore scientifico e non solo politico, abbiamo denunziato questa anomalia che senza dubbio avrebbe portato ad uno scontro all’interno della stessa magistratura dopo le aspre contese politiche e con i politici.
Negli anni 80 un pubblico ministero di valore come Gherardo Colombo teorizzò, a nome di magistratura democratica, che “il ruolo del magistrato dovesse essere quello di controllore del potere politico non essendoci alcuna forza politica compreso il Pci che a quell’epoca fosse in grado di contestare, a suo parere, il potere del partito di maggioranza”.
Dagli anni 90 in poi con Tangentopoli, ma non solo, si è rafforzato questo ruolo anomalo della magistratura che non fa riferimento soltanto alla corrente di sinistra ma ha investito tutto l’ordine divenuto appunto “potere”. La conseguenza è che il Csm non riesce ad essere un organo di “garanzia“ che tutela l’indipendenza, ma un organo che tutela solo l’autonomia come separatezza, fuori da ogni responsabilità e, da ogni controllo, come oggi possiamo agevolmente constatare. Le pratiche di lottizzazione che da anni si praticano anche in maniera spregiudicata, che potrebbero essere giustificate ( e non lo sono) per le questioni politiche, non sono ammesse per scelte che dovrebbero essere fatte per garantire appunto la imparzialità di chi deve dirigere un ufficio giudiziario. Orbene tutto quello che la stampa ci rivela, di incontri, di colloqui riservati, di presunti reati e certamente di comportamenti deontologicamente condannabili, fa ricadere sulla magistratura i tormenti che per tanti anni con le loro iniziative hanno colpito la sfera privata di politici o di amministratori per normali incontri che naturalmente, questi si, sono doverosi e necessari per accordi istituzionali e politici.
Diventa evidente purtroppo e veritiero il luogo comune che si sussurra da anni che “il procuratore della Repubblica, in particolare quello di Roma, vale tre ministeri!”.
L’ufficio di presidenza del Csm ha auspicato che “si impone un confronto responsabile tra tutti componenti per la forte affermazione della funzione istituzionale del Csm a tutela dell’intera magistratura“. Dopo tutto quello che abbiamo letto sulla stampa e dopo le dimissioni di un suo componente, e altre che stanno per arrivare non credo sia possibile ridare credibilità e trasparenza al Csm alla magistratura se non affrontando il problema della giustizia che è stato trascurato da governi ben più consistenti, figuriamoci se può essere affrontato da quello in carica. È chiaro che noi come cittadini abbiamo interesse a correggere le deviazioni istituzionali che inficiano la divisione dei poteri perché se ci sono fenomeni di corruzione la situazione diventa certamente più grave, e scandalosa, ma interesserà i responsabili e certamente inciderà sul prestigio e sulla credibilità della magistratura. La nostra speranza è che la stessa magistratura riconosca che la supplenza politica a lungo andare deprime e delegittima la stessa istituzione.
Lo diciamo da anni sempre inascoltati e bisognerebbe riconoscere che è arrivato il momento di porre mano ad alcune riforme che sono fondamentali per il funzionamento della giustizia.
Il ruolo del pm così delicato e così determinante per l’equilibrio istituzionale non può essere subordinato al potere delle correnti o di singoli magistrati, e al tempo stesso essere subordinato al potere politico.
Le correnti nella magistratura e nel Csm non sono manifestazioni di contenuto culturale o di forte pensiero: riconosciamolo con molta sincerità: si tratta di piccoli o grandi posizioni di potere che mortificano l’indipendenza. Come non riconoscere questa patologia?!
Se la magistratura vuole superare questa prova durissima che inevitabilmente la segnerà per sempre, dovrebbe accettare alcune riforme e per prima la riforma del pm il cui ruolo deve essere diverso da quello del giudice per dare valore al processo penale che negli anni ‘ 90 tutti abbiamo voluto accusatorio: bisognava superare quello “inquisitorio” che sembrava meno democratico e meno garantista.
La stessa magistratura deve riconoscere soprattutto dopo queste evidenti disfunzioni che è urgente modificare il rapporto tra laici e togati nel Csm per determinarne la parità in modo da attribuire un ruolo più incisivo agli stessi laici all’interno del consiglio; stabilire che anche il pubblico ministero come il giudice non possa permanere nella stessa sede più di cinque anni per evitare che si determinino aderenze e solidarietà negative. Queste elementari proposte sono presenti in parlamento dagli anni 70 e purtroppo l’insofferenza e il veto della associazione nazionale dei magistrati ha condizionato il legislatore.