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C'è quella che pare sempre sotto tiro. Braccia alzate dall'inizio alla fine della trasmissione, appena uno inizia ad articolare un pensiero – che sia il presidente di una regione o di una bocciofila – lo interrompe per passare al prossimo (che interromperà dopo un minuto per passare ad altro, magari un servizio con ospite da interrompere dopo trenta secondi). Poi c'è quell'altra, che ogni tre per due invoca qualcosa da farle vedere o farle sentire. Due perle della televisione italiana da giorni avvitata attorno alla corona più nota della storia dell'umanità, che manco quella di ferro. Dotata di virus, questa corona ha infettato l'informazione (italiana, meglio precisare) come non furono capaci nemmeno i terremoti più crudeli. Un circo Barnum che si sposta di tv in tv “illumina” di immense banalità un pubblico televisivo con le mani che dolgono a fine giornata per i troppi applausi. Si applaude a tutto e a tutti, a prescindere, ché la certificazione in vita del pubblico da studio televisivo passa per i palmi delle sue mani. Manca solo un bel plastico. Ore e ore di entertainment televisivo sul Corona virus hanno infine partorito il paradosso del mostro della disinformazione. Inseguendo la balena bianca Covid 19, l'informazione ha fatto disinformazione. La rincorsa al titolo più efficace, allo strillo più arpionante, ha ottenuto l'effetto esattamente contrario a quello deontologicamente coerente col giornalismo. Il voyerismo televisivo, unitamente al clamore a titoli cubitali, ha deformato, non informato: l'unica – concreta – conseguenza, è stata quella di falcidiare la produzione, mettendo in ginocchio un paese. Di ore televisive in ore televisive siamo passati dalla pandemia alla isteria, con comportamenti spiegabili solo con l'ignoranza. Ed è lì che torna in mente come un refrain di Battisti-Mogol il senso della nostra professione. Della professione giornalistica. Riprendere il governatore della Lombardia (fra parentesi, la regione più produttiva d'Europa) con una inutile mascherina, ha sortito come effetto il rimbalzo di quelle immagini a livello mondiale, col risultato di fare dei lombardi gli untori delle terre emerse. Andando per le spicce – come era inevitabile – la percezione mondiale degli appestati s'è allargata a tutti gli italiani, come testimoniano gli episodi raccontati (ovviamente a favore di telecamera) dalle Alpi alla Trinacria. Questo virus ha testato a fondo la nostra professione, svelandone una nudità poco regale. A esser nudo non è il re dell'informazione, ma il plebeo chiacchierone.