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La pace di Bibbona potrebbe essere l’inizio della guerra per Mario Draghi. Sì, perché il ritorno di Giuseppe Conte sulla scena politica rischia di mandare in fumo buona parte dei progetti messi in campo dall’ex Bce. A partire dalla riforma della Giustizia, promessa con solerzia a Bruxelles in cambio di una buona fetta di Recovery. I grillini non hanno alcuna fretta di chiudere la partita.
Anzi, giocano a prender tempo, alimentando i sospetti di chi è convinto che i 5S abbiano tutto l’interesse a rimandare il confronto sul “lodo Cartabia” per potersi muovere a briglie sciolte a partire dal prossimo mese.
All’inizio d’agosto, infatti, Sergio Mattarella entrerà nell’ultimo tratto di strada del suo mandato: il semestre bianco, il periodo in cui il Capo dello Stato perde la potestà di sciogliere le Camere. Dunque, nessuna “minaccia” di ritorno imminente alle urne potrebbe spaventare i partiti in caso di crisi di governo. Un argomento in più per spingere l’ala irriducibile del Movimento, capitanata paradossalmente da Conte, e non da Grillo, a lasciare la maggioranza senza grossi patemi. Ma se da un punto di vista numerico un eventuale addio dei grillini non pregiudicherebbe la tenuta del governo, da un punto di vista politico produrrebbe effetti potenzialmente devastanti. Il Pd dovrebbe accettare di restare imbrigliato in un esecutivo a trazione salvianiana, mentre la Lega si sentirebbe pienamente legittimata a imporre, o tentare di farlo, la propria agenda a Draghi.
Senza contare che senza la “copertura” del Quirinale lo stesso premier ne uscirebbe seriamente indebolito. In un quadro di questo tipo, difficilmente la maggioranza riuscirebbe a stare in piedi per tutto il tempo necessario a governare il processo messo in moto col Recovery.
Per Draghi, insomma, la vera partita comincia adesso.