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Forse senza rendersene pienamente conto, Gigi Di Maio, con le dichiarazioni in difesa dei parametri europei sul rapporto deficit/ Pii e debito/Pil, ha superato un confine che ricorda, in direzione inversa, quello varcato alla vigilia della formazione del governo con l'improvvida richiesta di impeachment per il capo dello Stato. Sino a quel momento a Bruxelles e nelle istituzioni italiane M5 S era stato considerato il soggetto politico più affidabile tra i due usciti politicamente vincenti dalle elezioni del 4 marzo. Il cavallo di battaglia dei 5S, il Reddito di cittadinanza, era visto come molto meno esplosivo della promessa di abolire la Fornero ed entro certi limiti persino auspicabile.
La posizione pentastellata sull'immigrazione appariva compatibile con quella dei principali Paesi Europei. Di Maio, a differenza di Salvini, si dichiarava europeista, pur se in modo critico. Insomma, la speranza che i5S fossero al fondo un partito populista di centrosinistra, domabile se non già del tutto domato, era palpabile.
La richiesta di impeachment contro Mattarella, pur se rimangiata dopo pochi giorni, cambiò tutto. Le stesse centrali che avevano individuato nel Movimento il soggetto più responsabile in campo rovesciarono il giudizio: dopo i festeggiamenti allestiti dai pentastellati dal balcone di palazzo Chigi dopo il varo di un Def dinamitardo rafforzarono il parere negativo.
Tanto più che distinguere le posizioni di Di Maio da quelle di Salvini era diventato impossibile, e i due, anzi, gareggiavano nel ringhiare rivolti a Bruxelles. Proprio il rifiuto, almeno a parole, delle regole europee rappresentava in realtà il solo vero terreno comune fra le due forze politiche.
Ora, nella sua ricerca un po' disperata di recuperare il consenso a sinistra, Di Maio si scopre paladino di quei parametri che sono sempre stati bersagliati dal Movimento, contro cui tuoe nava m autunno e che appena una settimana fa giurava di essere pronto a sfondare. Va chiarito che, per quanto bizzarro appaia e sia, la difesa critica del rispetto dei parametri è da sempre una componente essenziale del centrosinistra italiano. A maggior ragione quando il nemico principale è individuato non più nel 'populismo' ma nel "sovranismo". Nel catalogo delle bandiere del Pd raccolte in questa campagna elettorale dai 5S, quella con il 3% stampato sopra in rosso acceso è del tutto omogenea alla chiamata alle armi antifascista, vero pezzo forte della svolta 'a sinistra' dell’M5 S, e alla campagna in difesa dei diritti.
Solo che, mentre l'antifascismo la difesa dei diritti non sono estranei al dna pentastellato, anche se diversamente modulati a seconda delle circostanze e delle opportunità, con la difesa dei parametri Di Maio revoca uno degli elementi fondanti dell'identità del Movimento.
Certo la coerenza in politica è merce rara e le parole pronunciate in campagna elettorale sono piume. In questo caso però tornare sui propri passi sarà per il leader politico a cinque stelle difficile. La sterzata di queste settimane è stata troppo brusca e troppo a tutto campo per essere cancellata a urne chiuse senza pagare un prezzo carissimo in termini di credibilità.
E' possibile che la virata risulti vincente in termini di consenso, salvando i 5S dal disastro elettorale annunciato il 26 maggio. A porte chiuse le previsioni del Movimento sono molto più rosee di quelle sancite nei sondaggi, ed è convinzione dei leader che la Lega andrà invece molto meno bene del previsto. Lo scarto, insomma si ridurrebbe secondo queste profezie a pochi punti percentuali. Robetta trattandosi di elezioni europee, nelle quali M5S parte sempre svantaggiato, e soprattutto a fronte degli schiaccianti pronostici d qualche settimana fa.
Forse andrà davvero così, forse no. I comportamenti dell'elettorato italiano sono imprevedibili e spesso influenzati dagli eventi dell'ultima settimana prima del voto. Ma quale che sia il verdetto delle urne di maggio, l'ipoteca contratta da Di Maio in questa campagna elettorale avrà comunque conseguenze pesanti nei prossimi mesi. Certamente sul fronte nevralgico dei conti pubblici, perché una nuova carambola non sarebbe a costo elettorale zero, ma non solo su quello.
Prendiamo l'immigrazione, cioè il terreno sul quale più di ogni altro si era cementata nei primi mesi di governo l'alleanza tra i soci della maggioranza.
Più prima che poi, forse già nel prossimo cdm o comunque subito dopo le elezioni, Di Maio si troverà di fronte a un bivio. Potrà spalleggiare le nuove proposte di Salvini, che saranno certamente estreme, e così facendo ridicolizzare le posizioni assunte con toni sempre più stentorei e fragorosi negli ultimi mesi anche a costo di sacrificare la probabile apertura di credito nell'elettorato di sinistra, oppure accollarsi la responsabilità della rottura, della fine della legislatura e di elezioni anticipate.
Col rischio fortissimo di portare acqua non al proprio mulino ma a quello dello stesso Pd: perché un M5S che si differenziasse dal centrosinistra solo per la rivendicazione della propria 'onestà' a fronte della corruzione di tutti gli altri rischierebbe di dimostrare, per l'ennesima volta, che tra l'originale e l'imitazione alla fine gli elettori scelgono sempre l'originale.