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I liberali che fecero l’Italia la costruirono su due pilastri : la scuola e la giustizia.
Il maestro elementare e il Pretore erano i missionari dell’ Italia Unita : portavano istruzione e dignità, senso di appartenenza e decoro.
Spesso sradicati dalle loro terre d’origine non avevano relazioni sociali, né amicizie, ma solo il loro ruolo, che portavano orgogliosamente fino alla pensione e oltre.
Quando morivano non venivano sepolti con il loro nome, che sembra anche sulla lapide una premessa nuda, ma con la loro qualifica.
Anche l’edilizia e l’urbanistica ne hanno portato l’impronta : il Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour e il vicino Liceo Mamiani a Roma hanno medesima matrice ideale, raffigurare plasticamente una presenza forte di una dimensione pubblica, laica ed etica. Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini, Giosuè Carducci e Ludovico Mortara incarnarono questa contiguità di pensiero e azione , sui libri e sui codici.
Oggi invece lo Stato batte in ritirata : deserta le aule di giustizia e quelle di scuola.
Marina entrambe in un’ allegria da naufraghi.
Eppure la scuola e la giustizia sono la manifestazione concreta dell’uguaglianza tra cittadini e l’esercizio quotidiano della libertà.
Lo Stato non eguaglia nessuno a colpi di sussidi : facevano così anche i Faraoni che anche al tempo di un altro Giuseppe attingevano ai magazzini pubblici in tempi di vacche magre.
Non c’è repubblica senza tribunali che riconoscano a ciascuno il suo e non rimandino invece a novembre riscossioni di crediti e liberazioni di immobili.
Sembrano questioni triviali, non prioritarie. Invece la fiducia dei cittadini nella Giustizia Pubblica è basata sula sua effettività ( lo diceva un certo Kelsen, qualche anno fa ).
Se la tutela dei diritti che occupa un libro intero del codice civile, viene stracciata e messa in appendice, si perde il filo del racconto.
Tutto il senso delle regole della convivenza umana sta in quella parte finale dove i diritti astratti e formali si incarnano in prove e di lì’ poi in ordini del Giudice.
Se poi un protocollo di un capo ufficio stabilisce quali sono i reati prioritari, cioè quelli da perseguire in tempo ragionevole e quelli che non sono così importanti e possono rimanere impuniti a tempo indeterminato, le regole basilari dello Stato di diritto e dell’ unità nazionale finiscono per esser lettera morta.
La Repubblica che non riconosce a ciascuno il suo, non ricompensa chi vive onestamente e lascia indifeso chi è stato leso, è immatura.
Immatura come un ragazzo lasciato senza neppure l’illusione di esser tanto importante da meritare una selezione, un giudizio. Tutti promossi a scuola e tutti ( o quasi ) rimandati in tribunale, con l’illusione che una lezione e un processo a distanza siano come una classe o un’udienza vera.
Uno vale uno è l’esatto opposto dell’aurea regola latina “unicuique suum tribuere”.
A ciascuno non si dà lo stesso, l’identico, ma il suo, quello che ha dimostrato di saper meritare.
La sentenza del signor Pretore era come il voto della signora maestra : a volte severo, ma giusto, certamente mai frutto di noncuranza.
Dietro quelle decisioni e quelle prove c’erano participi e perifrastiche, digesti, regole sintattiche e giuridiche. Ora non ci sono più declinazioni, c’è solo il declino.