POLITICAMENTE

Barrett e la Corte suprema Se le istituzioni valgono più degli uomini ( e delle donne)

EMERITO STORIA DOTTRINE POLITICHE - GENOVA

Tra il 2011 e il 2013 Giorgio Napolitano nominò cinque senatori a vita: Mario Monti, Claudio Abbado, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia. A differenza di quelli nominati dai suoi predecessori - Segni, Cossiga, Ciampi - nessuno di loro faceva parte di politiche e culturali che potessero, in qualche modo, considerarsi liberali ( in senso conservatore) o moderate. Nessun columnist o moralista in servizio permanente effettivo osò criticare la scelta del Presidente. Erano anni difficili e si riteneva che un’infornata di senatori di sinistra o vicini all’establishment fosse in qualche modo giustificata. In un caso, Mario Monti, venne premiato addirittura un servizio reso alla Patria prima del suo inizio. Che le decisioni prese dal Colle avessero motivazioni politiche - e, ammettiamolo, anche nobili - può anche venir concesso. Certo non era il senso delle istituzioni a dettarle: se così fosse stato tra i cinque si sarebbe dovuto trovare anche l’esponente di una political culture che non era quella di Re Giorgio. Come è capitato spesso nella storia italiana, si finge che il modo migliore per difendere le istituzioni sia quello di rafforzare la pars politica su cui si può contare. Non si opera, quindi, come servitori dello Stato ma come reclutatori delle squadre partigiane a cui affidare la sua custodia. E’ una sindrome che si comprende nelle situazioni di emergenza ma che, alla lunga, indebolisce l’autorità e la ‘ maestà’ dello Stato come ente, per definizione, super partes. L’istituto dei senatori a vita aveva un suo significato quando l’opinione pubblica, conservatrice e progressista, non aveva nulla da obiettare sui nuovi patres conscripti, pur se appartenenti a famiglie spirituali diverse. Chi avrebbe potuto trovar da ridire, per fare qualche esempio significativo, sulle nomine di Leo Valiani, di Giovanni Spadolini, di Norberto Bobbio, di Emilio Colombo? Ci sono ‘ corpi’ - come il gruppo dei senatori a vita o la stessa Corte Costituzionale in cui si dovrebbe metter piede solo in nome del principio salus Rei publicae, suprema lex esto e solo, se indipendentemente dalle idee politiche e dalla credenze religiose professate, ci si pone al servizio dei cittadini, bianchi o neri, di destra e di sinistra. Non dimenticherò mai il magistrato genovese del lavoro che non considerava a priori il datore di lavoro la ‘ parte perdente’- come veniva definita nel gergo avvocatizio - e che applicava le norme imparzialmente, preoccupato solo di stabilire se la legge fosse favorevole all’imprenditore o al prestatore d’opera. Quel magistrato era comunista ma lo si venne a sapere solo quando andò in pensione. E non dimenticherò nemmeno che, negli anni caldi della contestazione, Giorgio Bocca inviò una lettera al Questore di una città del Nord per protestare contro l’arresto di Luigi Bobbio. “Ma lei non sa chi è il padre del giovane?“, scrisse in sostanza l’azionista piemontese. Evidentemente non riusciva a capacitarsi che un funzionario dello Stato non guardasse in faccia a nessuno.

I giornali benpensanti che non hanno avuto nulla da obiettare alle nomine di Napolitano hanno elevato alti lai contro Donald Trump per quella di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. Una decisione spudoratamente di parte, è stato detto, per garantirsi una Corte ancora più conservatrice dell’attuale, specie dopo la dipartita del giudice Ruth Bader Ginsburg, un’icona liberal nominata da Bill Clinton. Pochi - e fra questi il solito Federico Rampini - hanno ricordato che la giovane ACB aveva tutte le carte in regola per far parte del più alto consesso giudiziario degli Stati Uniti, sia come magistrato sia come docente di diritto alla Notre Dame Law School. E pochi dedicheranno più di un cenno al fatto che la Barrett assieme agli altri due colleghi, pure nominati da Trump, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, abbia ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal Texas a sostegno della battaglia di Trump per invalidare le elezioni. «La Corte - ha sintetizzato un amico giurista - ha negato che il Texas vanti un diritto a che un altro Stato rispetti la Costituzione e che quindi possa pretendere che la legge di un altro Stato sia sottoposta a giudizio», giacché «sarebbe come se Tizio volesse fare causa a Caio per difendere un bene di proprietà di Sempronio».

Cosa dimostra questa vicenda? E’ semplice: che le istituzioni in America contano più degli uomini e che quando le istituzioni sono forti scatta quella che potrebbe dirsi la” sindrome di Thomas Becket” in riferimento al film di Peter Grenville ( 1964), Becket e il suo Re, tratto dal dramma treatrale Becket ou l'honneur de Dieu di Jean Anouilh. Organizzatore delle orge di Enrico II Plantageneto, Becket una volta nominato dal re arcivescovo di Canterbury s’immedesima così pienamente nel suo ruolo da porsi contro il sovrano nella difesa dei privilegi della Chiesa. Nel Primate d’Inghilterra si cancella l’uomo, e la fedeltà è rivolta solo all’istituzione. In questo caso l’abito fa veramente il monaco. Che la Barret sia una cattolica conservatrice è un fatto, che in campo bioetico abbia posizioni lontane da quelle liberal è altrettanto certo. Ma non va dimenticato che la giurista si è formata alla scuola di Antonin Gregory Scalia, il cui nome sarà ricordato nella storia degli Stati Uniti accanto a quello di John Marshall e di pochi altri Chief Justice. Scalia era un conservatore quando diceva di voler applicare la Costituzione americana come i Padri l’avevano concepita e scritta ma era, altresì, un autentico democratico quando ammoniva che «un sistema di governo che subordina il popolo a una commissione di nove giuristi non eletti non merita di essere chiamata democrazia». Sono parole che dovrebbero far riflettere in un Paese come il nostro in cui la composizione della Corte Costituzionale ( Parlamento e Quirinale ne decidono i due terzi) è affidata al mercato politico e in cui, in mancanza del ‘ sentimento dello Stato’, nel Palazzo della Consulta entrano magistrati politici che politici rimangono. Come dimostrano le sentenze sull’ammissibilità dei referendum radicali.