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«Renzi si è reso conto che sarebbero intervenuti drappelli di responsabili a neutralizzare la sua eventuale uscita dal governo, e che forse non l’avrebbero neppure seguito tutti i parlamentari di Italia viva. La battaglia garantista è giusta e come centrodestra la condurremo fino in fondo. C’è da capire se potrà farlo davvero anche Renzi, visto che si troverebbe presto o tardi a sbattere la testa contro una questione di fiducia posta dal governo».
Renato Schifani è un avvocato, un garantista, ma anche un conoscitore delle dinamiche parlamentari troppo esperto per lasciarsi stupire dai trasformismi. Del Senato di cui fa parte è stato presidente, e sa che «alcuni colleghi, se costretti a scegliere tra sopravvivenza personale e coerenza, potrebbero optare per la prima. Anche se i governi raccogliticci hanno il fiato corto, perché soggiacciono al potere di ricatto del singolo che assicura la vita dell’esecutivo ma spesso presenta il conto».
Intanto il penalista Schifani cosa pensa del ddl sul processo?
Ci vorrà tempo per valutarne l’efficacia, per almeno due motivi. Nella pubblica amministrazione, di cui la giurisdizione fa pur sempre parte, c’è un’inesorabile resistenza ai processi di riforma. E poi in tale fenomenologia c’è uno specifico aspetto, esiziale per una riforma della giustizia: le lungaggini della burocrazia. Ciò detto, ci si dimentica sempre di un dettaglio: la riforma di cui parliamo è una legge delega.
Cioè sarà efficace tra quanto?
Il testo che dovrà essere approvato in Parlamento contiene solo principi generali. Poi il governo dovrà tradurli in decreti legislativi, che passeranno comunque al vaglio consultivo delle commissioni parlamentari. Se tutto va bene, ci vorranno da due a tre anni.
Nel frattempo, con la riforma del processo ancora per aria, il blocco della prescrizione comincerà a scattare eccome: basti pensare ai decreti penali di condanna.
E non c’è mica solo quella fattispecie: ci sono i procedimenti a giudizio immediato, gli arresti in flagranza. Tutti casi in cui si verificherà presto un blocco della prescrizione. Ma soprattutto, mi perdoni, c’è un problema politico prima ancora che tecnico- giuridico.
Di che tipo?
A fine 2018 il governo decise di differire di un anno l’entrata in vigore della nuova prescrizione in modo che contestualmente potesse essere approvata la riforma del processo entro quel lasso di tempo. Logica vorrebbe, intanto, che si seguisse quello schema: rinviare l’efficacia della prescrizione in attesa che il resto entri in vigore. Ma sappiamo che Bonafede è riuscito a imporre il suo no. Il punto è che nessuno ci garantisce che la riforma penale appena discussa a Palazzo Chigi arrivi in porto prima che finisca la legislatura.
E allora ci risaremmo: riforma penale nei cieli della teoria e prescrizione pienamente in vigore.
Sì, e a maggior ragione assisteremmo agli effetti della prescrizione bloccata in assenza di meccanismi acceleratori del processo. A questo mi permetta di aggiungere che, da quanto emerge, il ddl penale non introduce una semplificazione sufficiente e non rende davvero stringenti i termini delle indagini, che sono il vero tallone d’achille del sistema.
E il lodo Conte?
Incostituzionale. Fa derivare effetti differenziati a fronte di sentenze di condanna o assoluzione non definitive, e che dovrebbero perciò soggiacere alla presunzione di non colpevolezza. Con tale principio, viene perciò violato anche quello di uguaglianza di cui all’articolo 3. L’altro giorno la Corte costituzionale ha censurato la spazza corrotti. Non ci sono dubbi che lo farebbe anche col lodo Conte bis, se restasse in vigore.
L’obiezione dei fautori del lodo è: una distinzione fra assolti e condannati c’era già nella riforma Orlando.
E infatti è incostituzionale pure la riforma Orlando. Solo che ancora non è stata sottoposta al vaglio della Corte.
Nel dibattito sulla Gregoretti lei ha detto che bisogna interrompere la deriva giustizialista.
Siamo di fronte a un’attività legislativa giustizialista e palesemente incostituzionale, mi sembra evidente. Il caso Gregoretti vi ha aggiunto, per motivi squisitamente politici e opportunistici, una lesione del principio d’indipendenza del Parlamento dalla magistratura, nonostante vi fossero tutti i presupposti perché tale indipendenza venisse tutelata.
La Consulta ha innalzato un argine all’avanzata del giustizialismo?
La pronuncia sulla spazza corrotti lo ha dimostrato. Tra l’altro non è affatto vero che non sia stata toccata la legge. Che quel provvedimento fosse privo di una norma transitoria in grado di scongiurarne l’applicazione retroattiva era un dato ben presente al legislatore. Noi di Forza Italia abbiamo ripetutamente invitato Bonafede ad accogliere nostri emendamenti per sancire l’irretroattività, ma la maggioranza li ha respinti.
Non si è trattato di una dimenticanza?
Nessuna dimenticanza: c’è stato anzi un accanimento del guardasigilli nel respingere ogni nostra proposta emendativa sulla irretroattività delle pene più afflittive introdotte dalla spazza corrotti. È stato lui a bocciare le nostre proposte, e per questo ora è lui ad aver perso.
In tutto questo Renzi si è ritirato in buon ordine dalla battaglia garantista?
Si era reso conto della strada sbagliata scelta dal governo. Della scelta, chiara, del Pd, che ha sposato la linea giustizialista dei 5 Stelle. Ora però mi sembra essersi reso conto di un altro paio di cose. Primo, che secondo i sondaggi la riforma della prescrizione è purtroppo percepita come giusta e che quindi la battaglia garantista non gli avrebbe portato consensi. E poi che aprire una crisi con tanti fronti che assediano il Paese, dai tavoli sulle procedure di licenziamento a un’epidemia incombente e al debito pubblico che cresce, gli avrebbe arrecato una tale perdita di voti che anche qualcuno tra i suoi lo avrebbe lasciato.
Renzi si è arreso, insomma?
In punta di principio la sua è una battaglia totalmente condivisibile. Certo, meglio avrebbe fatto se, con la sua giravolta di agosto, non avesse favorito i 5 stelle. Ora bisogna capire se avrà ancora la forza di andare fino in fondo: ma il punto è che presto o tardi si troverà a sbattere contro una questione di fiducia posta dal governo, sul milleproroghe o su altro. E tra il dire di non volersi arrendere e il fare ci sono tanti impedimenti.
Ma nel caso Renzi rompesse davvero, la legislatura potrebbe reggersi sui responsabili?
I governi sorretti da stampelle hanno sempre il fiato corto. Vivono all’ombra del ricatto esercitato dal parlamentare marginale che condiziona il proprio voto a un tornaconto personale. Esecutivi così possono amministrare, certo non governare nel senso pieno del termine.
Qualche responsabile potrebbe spostarsi anche da Forza Italia?
Non ha senso parlarne rispetto a singoli casi. Vale un discorso generale: con il taglio dei parlamentari molti sanno che non rientrerebbero in Parlamento, e non potrei assolutamente escludere che alcuni possano far prevalere l’interesse personale alla sopravvivenza rispetto alla coerenza politica. Primum vivere...