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«Le offese contro di me per essere andato a Regina Coeli sono un chiaro tentativo di intimidazione. Ma invece che spaventarmi mi hanno reso ancora più forte rispetto al mio obiettivo». Il deputato dem Ivan Scalfarotto ritorna sulle polemiche dopo la sua ispezione nel carcere romano per verificare le condizioni dei due americani indagati per l’uccisione del vice brigadiere Mario Cerciello Rega. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Pechino, prima di partire per la Corea del Nord e la Corea del Sud: «Sono qui con Osvaldo Napoli per portare un messaggio di pace da parte del Parlamento italiano alle due Coree». Pace che invece non c’è nel nostro Paese dove chi non si adegua al giustizialismo e al populismo viene travolto non tanto dalle critiche, ma dagli insulti e dalle minacce di morte.
Ci racconta come è andata?
La notizia della mia visita era uscita la mattina sulla Stampa e fino alle 22 c’erano pochissimi commenti. Dopo la condivisione fatta da Matteo Salvini ho raggiunto i 3000 commenti: molte minacce di morte e offese di vario tipo, comprese quelle legate all’orientamento sessuale. Ne ricordo una: «Prega Iddio che non ti incontri per le strade di Roma...». Ma invece di scoraggiarmi, mi sento ancora più determinato.
Come si è sentito, però, ad essere lasciato solo dai vertici del Pd?
Sono convinto che su alcune questioni, come lo Stato di diritto, non si possa scendere a compromessi. I rilievi mossi da alcuni colleghi nei miei confronti nascono solo dopo la presa di pozione di Salvini. Non prima. Nel momento cioè che Salvini mi fa diventare un obiettivo, allora alcuni esponenti del Pd disconoscono la mia iniziativa.
Perché ha deciso di andare a Regina Coeli?
Sono andato come rappresentante della Repubblica italiana. Noi parlamentari abbiamo il diritto/ dovere di visitare le nostre carceri. Volevo verificare se la condizione dei detenuti, compresi i due americani, fosse in linea con il dettato costituzionale. Volevo cioè capire se siamo ancora il Paese di Cesare Beccaria, o se ormai prevalga la legge del taglione. In questi mesi è passato il messaggio che sia normale morire in mare o restare sotto il sole per giorni sopra una nave. E così è stato per la foto del ragazzo bendato e ammanettato: stiamo mettendo in discussione i capisaldi del nostro sistema democratico.
Qualcuno le ha contestato la tempistica: avrebbe dovuto aspettare un po’ prima di fare l’ispezione...
Se fosse passata qualche settimana, quella foto sarebbe diventata mainstream, parte del nostro bagaglio culturale. Andava contestata subito. L’amico Emanuele Fiano ha detto che bisogna ascoltare la sensibilità popolare. Ma la sensibilità popolare talvolta ha costruito mostri. Quando avanza l’oscurità, il nostro compito è preservare la fiammella, perché quando questa si spegne, non l’accendi più. La fiammella in questo caso è la difesa dello Stato di diritto, che andando in carcere io ho voluto mantenere viva. Dobbiamo tornare a essere un Paese normale, impedire che si radichi la legge del taglione. La cultura che c’è dietro la foto del ragazzo, andava fermata subito. Tra due settimane sarebbe stata mangiata e digerita.
Nel Pd si discute: la Lega si vince provando a portarle via i voti sul suo terreno o costruendo una vera alternativa, senza cedere al senso comune?
È arrivato il momento per il Pd, e se non per il Pd, per le persone civili, di stringersi attorno ai principi fondanti della nostra democrazia. Da qui si può ripartire per ricostruire. Non ha senso inseguire la Lega, perché anche se dovessimo vincere, lo faremmo in un contesto in cui i valori non sono più i nostri. Invece oggi anche a costo di perdere dei voti, tanto li perdiamo lo stesso, dobbiamo batterci per difendere i nostri principi, non quelli della Lega. Anche perché se prevale il messaggio di Salvini, gli elettori voteranno sempre l’originale.
Sul web qualcuno la ha accusata di aver dato più importanza ai due indagati che alla famiglia del carabiniere ucciso.
Il mio dolore, la mia costernazione, il mio lutto sono profondissimi. Ma in uno Stato di diritto si deve stabilire un collegamento tra il dolore per la sorte della vittima e la tutela del colpevole. Se no si torna alla legge del taglione. Da una parte c’è quindi la costernazione e la solidarietà nei confronti della famiglia della vittima, dall’altra c’è l’attenzione perché il presunto colpevole venga giudicato secondo i principi dell’habeas corpus. Il ministro dell’Interno, invece di tutelare il rispetto dei principi costituzionali, prende la foto del ragazzo e la rilancia, io invece vado a Regina Coeli a fare, non una visita, ma una ispezione. Il mio è stato un atto politico. E ho appurato che in carcere la polizia penitenziaria sta facendo bene il suo lavoro.