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«Per risollevare le sorti economiche dell’Italia servono investimenti e lotta alla disoccupazione, non lotta contro la povertà», parola di Giulio Sapelli. economista e professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, contattato nelle prime battute dell’esecutivo gialloverde per un possibile ruolo di governo.
Professore, il dato di recessione tecnica fornito dall’Istat era più che atteso?
Certo che era previsto, bastava non essere economisti neoclassici.
Quali sono state le avvisaglie?
Innanzitutto la deflazione, che è secolare. Un regime economico non può vivere in deflazione e con alta esposizione di liquidità finanziaria, come quella creata dalla Banca centrale europea e poi imposta dall’egemonia teutonica. I tedeschi esportano in Europa e in tutto il mondo senza investire, dunque esportano deflazione. Inoltre c’è stata una caduta del commercio mondiale, con la Cina che si è di fatto fermata. È chiaro, quindi, che ora siamo in questa situazione.
Il vicepremier Di Maio ha dato la colpa al precedente governo, sostenendo che abbia mentito sui dati.
Non mi sembra possibile. Diciamo che, se si può fare un appunto al governo precedente, l’Istat dispensava dati un po’ troppo spesso. E comunque, anche se ci fosse stato qualche dato errato, la ragion di stato avrebbe imposto a Di Maio di non dire nulla.
Crede che la manovra economica del governo possa riportare il dato da negativo a positivo?
Certo che sì, è sicuramente possibile ed ipotizzabile. Ci vorrà tempo però, visto che il moltiplicatore keynesiano è attivato soltanto con la spesa delle famiglie, con il reddito di cittadinanza.
Cosa servirebbe, per velocizzare il processo?
Che si facesse anche una lotta feroce alla disoccupazione. Il che è nelle corde di questo decreto, che mette assieme lotta alla disoccupazione e lotta alla povertà, ma per farlo davvero servirebbe un apparto dello Stato. Oggi, invece, dopo 5 anni del ministro Madia e dopo la riforma Bassanini che ha distrutto la pubblica amministrazione, lo stato non esiste più. Quindi, una ripresa da questo lato è difficile.
Un errore, dunque, quello di mettere insieme lotta alla povertà e lotta alla disoccupazione?
La manovra contiene più misure per la lotta alla povertà. Il reddito di cittadinanza è scritto male, di fatto continua il reddito di inclusione del governo Gentiloni e non promuove gli investimenti ma il consumo delle famiglie, sempre che queste consumino e non risparmino. L’occupazione, invece, si deve fare attraverso gli investimenti: se si sceglie la formula welfaeristica, servirebbero centri per l’impiego di stampo scandinavo, che oggi sicuramente non abbiamo, anzi.
Cosa bisognerebbe fare, allora?
Il modo migliore di procedere sarebbe fare investimenti pubblici e privati. Come spiega bene il ministro Tria, il deficit strutturale non è così grande, quindi è senz’altro possibile aumentare la possibilità di investimenti pubblici. Per cambiare veramente le cose, però, non mi stanco di dire che bisogna fare una seria politica per l’occupazione, che non è ancora stata iniziata.
Per intervenire, serve una manovra bis?
Assolutamente no. Come ha detto Tria, una manovra bis non serve, perchè non abbiamo problemi con il deficit strutturale.
Come si può intervenire sul piano dell’occupazione?
Come insegnava Michal Kalecki, è il profitto che genera gli investimenti e non viceversa. Bisogna promuovere l’aumento del tasso di profitto, che invece ora cade vertiginosamente, dando ragione al vecchio Marx. Dunque, bisogna fare in modo che ci siano degli investimenti, nonostante l’abbassamento del tasso di profitto. Investimenti sia pubblici che privati.
Che però oggi sembrano difficili da favorire.
Da che mondo è mondo, per stimolare quelli privati si fanno misure fiscali favorevoli e, soprattutto, si rafforzano le banche. Esattamente il contrario di ciò che ha fatto la Bce in questi anni, con i tassi negativi: all’inizio le ha salvate, poi le ha gravemente indebolite. Poi, se i privati non investono, si fanno investimenti pubblici.
C’è margine per fare investimenti pubblici?
Gli investimenti pubblici si possono fare attraverso la Cassa depositi e prestiti, che non ci obbliga ad avere un aumento del debito pubblico. Basta che la Cassa si attivi in modo intelligente. Inoltre, abbiamo un paese con le infrastrutture che crollano e 500 miliardi di euro già approvati, che aspettano solo la cantierizzazione. Basta che i 5 Stelle smettano con queste pratiche esoteriche e diano il via libera.
Quali riforme servirebbero, sempre in ottica di crescita?
Io comincerei cambiando l’Autorità Anticorruzione, che è un ostacolo fondamentale. Basterebbe nominare al suo vertice un sociologo invece che un magistrato: oggi tutti hanno paura di tutto, perchè temono di finire, spesso ingiustamente, sotto processo.
Eppure quello dell’anticorruzione è uno dei cavalli di battaglia dei 5 Stelle.
Non deve più esserlo. Devono capire che la politica la fanno i politici, non i magistrati.
Non un passaggio da poco, per l’attuale governo.
Il governo, composto da due partiti e da un gruppo di ministri non eletti, è di per sè un’astrazione. Il problema di questo Esecutivo è, da un lato, la politica dei 5 Stelle; dall’altro la politica che per ora tace. Gli unici a comportarsi bene sono i ministri Tria e Moavero, che di fatto seguono i consigli del professor Savona. Anche se in apparenza lui sembra avere minor peso, le sue indicazioni di continuare a stimolare gli investimenti hanno invece una certa audience.
L’Unione Europea come si inserisce nel nostro quadro economico?
Partiamo da un dato: l’inflazione tedesca sta distruggendo l’economia europea. Se l’Europa non cambia politica economica, abolendo il Fiscal Compact e rinegoziando i trattati europei, la crescita avrà degli ostacoli enormi. Lo dimostra, del resto la caduta della produzione industriale in Germania. I primi a pagare questo prezzo saranno i tedeschi e per noi sarà la catastrofe: se la Germania ha il raffreddore, l’Europa e soprattutto l’Italia hanno la polmonite.