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C’è un piccolo libello, un pamphlet non recentissimo ma assai prezioso: si chiama il “Circo mediatico giudiziario” e lo ha scritto Daniel Soulez Lariviere, un avvocato francese che in un centinaio di pagine, o poco più, ha fotografato il momento esatto in cui - e siamo alla fine degli anni ‘80 - i processi si sono spostati dalle aule di giustizia agli studi televisivi e sulle pagine dei giornali, fino a tracimare sui social. Ma questa è storia più recente. Insomma, Lariviere è il primo che ha fotografato il big bang, l’esplosione iniziale che ha cambiato i connotati al processo trasformandolo per sempre in processo mediatico. Inutile dire che l'istantanea di Lariviere riguarda anche il nostro Paese. I media italiani in questi anni hanno esasperato e viziato a tal punto il racconto della giustizia, che oggi assistiamo a veri e propri “dibattimenti” mediatici e a “condanne” a mezzo stampa. E sì perché nel processo mediatico l'indagato è sempre colpevole e le sue garanzie vengono calpestate e triturate nel nome di un non meglio specificato “diritto di cronaca”. Ovviamente ci sono interpreti che hanno intonato la musica del processo mediatico giudiziario in modo diverso: ci sono direttori d’orchestra che suonano marce trionfali calpestando “impunemente” almeno un paio di articoli della nostra Costituzione (il diritto alla difesa e la presunzione di innocenza) e chi invece lo fa in modo più sottile e intelligente. Insomma, come dire, c’è modo e modo…Ecco, tra questi ultimi, tra i più intelligenti e preparati, c’è senza dubbio Michele Santoro. Ecco, Santoro è stato un interprete alto e non “sbragato” del processo mediatico, e per anni è stato il faro della lotta alla mafia e dell'antiberlusconismo: spesso e volentieri mischiando i due fenomeni. Era il custode della legalità, il riferimento dei militanti dell’antimafia da parata e il cantore del racconto complottista che voleva pezzi di Stato impegnati a organizzare i grandi delitti di mafia. A cominciare da quello di Borsellino. Ecco, ora Santoro non crede più in questo racconto e l'abiura gli è costata gli strali dei professionisti dell’antimafia. Proprio così ha detto: “professionisti dell'antimafia”. Un'espressione che porta alla mente Leonardo Sciascia, anche lui finito nel mirino di chi è convinto che la lotta alle mafie giustifichi la notte della ragione e la macelleria dei diritti. E allora ci permettiamo di recapitare a Santoro la lettera di un tale Enzo Tortora, un signore che più di ogni altro ha vissuto sulla propria pelle la violenza dei professionisti dell’antimafia e della giustizia mediatica: “Se un cittadino, sbattuto in galera innocente, processato e condannato a pene enormi sulla sola parola di criminali "pentiti", se dunque, osa protestare, urlare alla vergogna, chiedere un tipo di giustizia diverso e degno dell'Occidente, allora salta su, da una delle "correnti" della nostra beneamata Magistratura il solito (disinformato) colonnello in toga che accusa (la citazione è testuale) «di screditare l'immagine di una giustizia impegnata sul difficile fronte della criminalità organizzata» (Sic!). Ma che c'entra? Vien voglia di dirgli. Voi mi parlate di giustizia. lo grido all'ingiustizia, io vi parlo dei diritti di ogni cittadino e voi mi rispondete gargarizzando retorica”.