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Armando Sanguini, ex Ambasciatore a Ryad, senior Advisor dell'Ispi
Geopolitica dello sport. Con questa espressione si identificano anche diverse attività che vedono protagonista negli ultimi anni l’Arabia Saudita. In questo paese stanno arrivando alcuni dei migliori calciatori dei campionati europei – senza dimenticare allenatori e manager - con ingaggi milionari, grazie alla generosità del fondo sovrano saudita presieduto dal principe Mohammed bin Salman. Accaparrarsi top player del calibro di Cristiano Ronaldo e Karim Benzema significa per l’Arabia Saudita avvicinarsi all’Europa e all’Occidente, migliorare la propria immagine a livello internazionale con lo “sportwashing” e dissolvere tante ombre, comprese quelle che riguardano la violazione dei diritti umani. Abbiamo parlato con Armando Sanguini, già ambasciatore d'Italia in Tunisia e in Arabia Saudita, attualmente Senior advisor dell’Ispi ( Istituto per gli studi di politica internazionale), sulle ambizioni di Riad nel calcio e non solo.
Ambasciatore Sanguini, l’Arabia Saudita sta facendo massicci investimenti nel calcio. Dove vuole arrivare Mohammed bin Salman?
Io credo che il giovane reggente Mohammed bin Salman stia guardando lontano. L’obiettivo è quello di far crescere il ruolo e anche l’influenza del suo paese. L’Arabia Saudita è gigantesca nelle dimensioni, ma in fondo non è ancora arrivata all’apice delle ambizioni che coltiva. Bin Salman sta cercando di alzare il livello di visibilità del proprio paese anche perché questo significa realizzare investimenti. Ne ha tanto bisogno pur avendo già un sacco di soldi a disposizione. Gli investimenti giganteschi, compresi quelli legati allo sport, e nello specifico al calcio, vanno in questa direzione. Lo sforzo del rampollo dei Saud è quello di dire: “Ci siamo, siamo un paese importante”. Da qui l’impegno a costruire delle intese mediorientali per avere un ruolo di interlocuzione, degno di questo nome, con l’India, con la Cina, con l’Europa con cui ci sono dei vincoli storici utili per continuare a crescere.
Lo sport viene usato come strumento geopolitico?
Il calcio è lo sport più popolare al mondo. Oggi leggiamo le cifre legate ai salari, chiamiamoli così, per tanti giocatori che fanno tremare le vene e i polsi. Gli investimenti nel calcio derivano da una strategia mirata. La ragione è quella di entrare a far parte del mondo che conta anche da un punto di vista sportivo.
C’è dunque il desiderio di dotarsi di un profilo internazionale e geopolitico ben preciso in queste operazioni?
Credo che in Arabia Saudita abbiano tutte le ragioni a muoversi nel modo al quale stiamo assistendo. Prima di tutto perché se lo possono permettere, poi perché il Medio Oriente è un’area di estremo interesse anche per noi che siamo nel Mediterraneo. Non riusciamo però a fare in modo che sia Bruxelles a considerare il Mediterraneo un’area prioritaria dell’Unione europea. Metto tutti questi temi insieme per dire che le ambizioni dell’Arabia Saudita sono comprensibili. Fino a ieri, questo paese era considerato una pietraia. Da qualche tempo si nutrono aspettative di investimento e crescita notevoli. Esiste tutta una zona a Sud del paese, vicino alla catena montuosa, che ha delle ambizioni molto precise. Tutto ciò induce a far crescere la cooperazione e la collaborazione. Credo che il partenariato sia una cosa positiva.
La questione dei diritti umani è stata tirata in ballo in riferimento ai massicci investimenti nel calcio, ma anche nel golf e nella Formula Uno. Si accendono i riflettori sullo sport per ricostruire un’immagine e spostare le attenzioni da temi molto delicati?
Il bisogno di farsi un’immagine è connesso all’esistenza stessa dell’Arabia Saudita, che si sta proiettando nella regione di riferimento e nel mondo. In merito alla questione dei diritti umani vorrei partire da un presupposto.
Prego, dica pure…
Non possiamo fare i giudici oltre un certo limite. Per noi ci sono voluti dei secoli prima di arrivare dove ci troviamo e non possiamo pretendere che altre culture, altre visioni arrivino a condividere i nostri valori. Noi li riteniamo universali, ma siamo noi che li consideriamo tali. Io credo che anche in Arabia Saudita arriveranno a dove siamo arrivati noi. Bisogna però dare il tempo di far crescere la storia di questo paese, magari accelerandola, per riconoscere una cittadinanza del mondo che l’Arabia Saudita rivendica a buon diritto. Quando parliamo di diritti umani, dovremmo essere cauti. Non siamo certo campioni dei diritti umani, basti vedere come trattiamo i migranti per averne subito un riscontro. I progetti sportivi in Arabia Saudita vanno sostenuti. Le prospettive di collaborazione sono il sale delle relazioni internazionali, che si basano pure sulla salvaguardia e la promozione dei propri interessi più che dei propri ideali.
In questo contesto di geopolitica dello sport come si muovono l’Europa e gli Stati Uniti?
In questa emulazione internazionale l’area in cui è collocata l’Arabia Saudita sta suscitando un interesse a livello globale diverso da quello registrato in passato. Fino ad oggi, l’area in questione era considerata con attenzione per le problematiche che suscitava, legate agli scontri di poteri, all’influenza economico- politica. Oggi si apre una stagione in cui il Mediterraneo può costituire un punto di riferimento internazionale che fa capo, non dimentichiamolo mai, a Bruxelles. Non siamo ancora arrivati però a fare dell’Unione europea una comunità che guarda al Mediterraneo come a una grande priorità. Dobbiamo lavorare ancora.
L’Italia può svolgere un ruolo da protagonista?
Io non amo la parola protagonista. Anzi, mi irrito quando la sento. Non dobbiamo essere protagonisti, ma attori. Attori consapevoli e responsabili che fanno la loro parte. Dobbiamo fare la nostra parte nel Mediterraneo, a Bruxelles e in giro per il mondo. Il problema di fondo credo che sia quello di dare al Mediterraneo quella dimensione europea e internazionale che merita. In tutto questo i paesi del Nord Africa sono dei partner fondamentali. Ho usato la parola partner non a caso. Il partenariato è, forse, la cosa più delicata che siamo chiamati a fare e vuol dire agire stando sullo stesso piano, senza considerare la sponda Sud di secondo livello.