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Sandro Donati e la copertina del suo libro
«Ovviamente lei vorrà parlare della vicenda Sinner. In questi giorni mi stanno chiamando molti organi di stampa stranieri per avere da me rivelazioni clamorose. A loro rispondo di informarsi prima del caso di Alex Schwazer e di richiamarmi. Spariscono».
Sandro Donati, maestro dello sport ma soprattutto una autorità a livello mondiale quando si parla di doping, ha speso la sua vita a far capire e denunciare i rischi che corrono gli atleti e gli interessi che girano intorno al mondo sportivo. Il suo libro “I signori del doping” del 2021 è ancora oggi un macigno scagliato contro il sistema Wada. È stato emarginato per queste sue posizioni, poi in Italia il presidente del Coni, Giovanni Malagò, lo ha voluto a coordinare la metodologia dell’allenamento dell'istituto di Scienza dello sport. Oggi a 78 anni continua a trasferire la sua esperienza e lo rintracciamo a Sabaudia, dove sta seguendo gli atleti della nazionale di canoa sul lago di Paola. Conosce molto bene la Wada e non si è meravigliato di come si è conclusa la vicenda Sinner.
Professor Donati, perché era così sicuro che la Wada avrebbe avuto questo atteggiamento soft?
L’avevo capito da mesi. La Wada era in grande imbarazzo e molto esposta, perché per il Clostebol, in quantitativi irrilevanti, sono stati squalificati tanti atleti. Se Sinner fosse andato avanti e avesse dimostrato la sua non colpevolezza la Wada avrebbe corso il rischio di essere trascinata in tribunale da chi ha dovuto subire anni di squalifica.
Ritiene che Sinner c’entri con il doping?
Assolutamente no. È stato controllato due volte nel giro di pochi giorni e c'era sempre una quantità irrisoria del farmaco, quindi non è conciliabile con la ipotesi doping.
Cambieranno qualcosa?
La Wada si affretterà a modificare queste regole che sono apparse a tutti palesemente vessatorie. Intanto chi non ha la disponibilità economica di rivolgersi al tribunale sportivo di Losanna ed è stato squalificato non potrà fare nulla.
La Wada non ha credibilità quindi.
È minata da tanti scandali. Non è un caso che recentemente gli Stati Uniti hanno bloccato il pagamento della quota annuale di 3,6 milioni di dollari per la posizione, a loro avviso, compiacente per i nuotatori cinesi. Hanno il terrore che altri Paesi possano fare la stessa cosa. Ho collaborato con la Wada per 12 anni e durante un indagine giudiziaria, per la quale ero consulente Wada, avevo trovato un gigantesco database che ricostruiva anni di analisi ematiche, fatte dalla federazione internazionale di atletica agli atleti di tutto il mondo, con una montagna di valori anomali sui quali la federazione non era intervenuta. È la dimostrazione che per tanti anni, invece di fare l’antidoping, erano stati solo raccolti dei dati. Poi, quando esplose lo scandalo dei russi, nominarono un commissario tanto “indipendente” da essere stato presidente della Wada. Lo informai del database e a quel punto divenni il nemico del sistema.
Ma cos’è che non funziona nei controlli?
È un sistema basato sulle performance degli atleti che si trasformano in diritti televisivi e sponsorizzazioni. Così si arriva al paradosso che gli stessi soggetti che sono interessati a questo business fanno i controlli. Si organizza un meccanismo in apparenza severo, che colpisce solo qualche atleta poco conosciuto. Basta guardare le statistiche per rendersene conto: i casi di positività sono inferiori all'1%, con ben 25 laboratori mondiali che hanno apparecchiature che costano milioni di euro. Le sembra credibile? Anche perché quelli che contano sanno come aggirare gli ostacoli.
Si riuscirà mai a cambiare le cose?
No. La politica non vuole accollarsi il problema, ha delegato al sistema sportivo tutto e ne diventa partner anche per organizzare grandi eventi.
Quale potrebbe essere la procedura per poter garantire tutti?
Dei controlli più umani, con un monitoraggio periodico e sospensioni temporanee fino al rientro nei parametri normali. E poi la famosa terza provetta. L’ho proposta da tempo, ho anche sollecitato gli atleti famosi a richiederne l’introduzione, ma non se ne è fatto nulla.
A che cosa servirebbe la terza provetta?
Oggi quando c’è un controllo antidoping l’urina viene divisa in due flaconi: A e B. La provetta A viene analizzata per prima dal laboratorio, senza testimoni e quindi non ha valore di prova, ma serve semplicemente a verificare l’esistenza o meno di anomalie. A quel punto viene avvertita la parte che può nominare un perito per la seconda analisi, che è chiamata anche controanalisi.
Dove è il problema?
Le due provette vengono prese dagli ispettori, ma all’atleta non resta nulla e il campione può essere esposto al grave rischio di manipolazioni.
È quello che è successo con Schwazer?
Lei è arrivato subito al punto. Fino a che non hanno motivo di manipolare non lo fanno, ma siccome parliamo di persone che, in alcuni casi, hanno una storia non proprio cristallina può accadere. Indipendentemente da questo, non va dimenticata la lunga catena di persone che entrano in contatto con quei flaconi di urina, ritengo che sia giusto cautelare l'atleta e garantire la trasparenza. Un sistema che non ha nulla da nascondere, potrebbe concedere la terza possibilità di analisi, anzi avrebbero dovuto prevederla. L’atleta deposita la provetta in un laboratorio riconosciuto, senza possibilità di accesso, che si utilizzerà solo in caso di contestazione. Nel caso di Schwazer questa procedura sarebbe stata decisiva, perché non avrebbero potuto manipolare il campione.
Dall’alto della sua esperienza e dopo la vicenda Schwazer che idea si è fatto del sistema dei controlli antidoping? E quali sono gli interessi?
Lo ripeto. L'interesse è quello di sempre: i vertici del sistema sportivo sono interessati esclusivamente allo sport di élite e alla commercializzazione.
Un campione come Schwazer rientrava perfettamente in questo schema: perché è stato fermato?
Semplice. Alex era testimone in un processo contro due medici della Fidal uno anche internazionale, condannati in primo grado, e la sua testimonianza era importante.
Era diventato un nemico del sistema?
Doveva essere screditato in vista dell'appello. Pensi che Schwazer ha deposto il 15 dicembre alle 12 e lo stesso giorno, dopo un’ora, la Iaaf ha ordina un controllo antidoping a sorpresa per il 1° gennaio 2016. Un controllo con 15 giorni di anticipo e indicando il nome non si è mai visto.
Lei che ha conosciuto bene l’atleta Alex Schwazer che potenzialità avrebbe potuto avere se non fosse stato ostacolato?
È un atleta formidabile, con un potenziale enorme, l'ho allenato per un anno e mezzo. Lo hanno massacrato e gli hanno tolto tutto. Quello che hanno fatto è una cosa talmente squallida, al posto di queste persone mi vergognerei anche a uscire di casa per quello che ha scritto il Gip di Bolzano nelle 87 pagine dell’ordinanza di archiviazione.