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Va bene, definendo le donne strutturalmente «meno spavalde e sicure di sé degli uomini», Alessandro Barbero ha detto una sciocchezza d’altri tempi. A 24 ore di distanza dall’intervista incriminata su La Stampa è probabile che lui stesso si sia accorto della gaffe e pentito di aver pronunciato quelle parole. Le regole della comunicazione sono diverse da quelle della divulgazione e del racconto storico, e Barbero sta imparando a sue spese quanto sia pericoloso uscire dalla propria confort zone. Si rischia, come è effettivamente successo, di perdere il controllo del discorso e di finire in pasto ai branchi di lupi affamati che scorrazzano sul web. Con l’automatismo del cane di Pavlov schiere di ex ammiratori sono ora costretti a riposizionarsi e, con la tipica rabbia degli amanti traditi, stanno ricoprendo di insulti e contumelie il povero professore; alcuni annunciano anche il boicottaggio. «Misogino», «maschilista», «sessista», «una grande delusione», «non seguirò mai più c’è poi un suo corso», «con me ha chiuso». La senatrice Monica Cirrinà, femminista con tutte tranne che con la sua cameriera, mette in guardia: «Sono parole molto pericolose», mentre sul Fatto Quotidiano, sempre sul pezzo, sempre all’avanguardia quando si tratta di spargere guano, viene addirittura accusato di volerci «propinare un medioevo 2.0». In questa sguaiata gogna pubblica c’è poi chi riesce a distinguersi per meschinità e sciacallaggio. Stiamo parlando di Michele Anzaldi, onorevole di Italia Viva, segretario della Commissione di Vigilanza Rai, il quale ha chiesto alla presidente Marinella Soldi di interrompere «tutte le collaborazioni presenti e future con il professor Barbero». Pura follia. E non è detto che il Cda non gli dia ragione.