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Massimiliano Romeo
Ora che Berlusconi ha riconosciuto a Salvini la leadership della coalizione, il centrodestra può tornare a giocare di squadra. Ne è convinto Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama.
Senatore, cosa è cambiato nel centrodestra dopo le elezioni umbre?
È stata l'ennesima dimostrazione di ciò che ripetiamo da mesi: siamo maggioranza nel paese anche se non in Parlamento. Sarebbe dunque più corretto che il governo abbandonasse e lasciasse ai cittadini la possibilità di votare.
Il centrodestra è davvero pronto a tornare alle urne?
Assolutamente sì. C'è una comunità d'intenti in quella che amiamo chiamare “coalizione degli italiani” e che va oltre il vecchio schema del centrodestra fatto solo di Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega come partito trainante. Siamo aperti al contributo di liste civiche e anche a ex simpatizzanti del Pd o del M5S, visto che i flussi elettorali umbri ci confermano uno spostamento di attenzioni nei nostri confronti.
Il voto umbro dice anche un'altra cosa: FI si ferma al 5 per cento. Volete prosciugare il bacino elettorale di quello che un tempo era il primo partito della coalizione?
Non abbiamo mai lavorato in questa direzione, ci siamo sempre e solo preoccupati di portare avanti le nostre idee: sì agli investimenti, sì alle infrastrutture, sì alla riduzione delle tasse. Andiamo in tutte le piazze a presentare il nostro progetto alla gente e gli italiani ci hanno premiato. Non ci interessa entrare nelle questioni degli altri partiti, ma mi sembra di capire che oggi i moderati stiano con la Lega.
Piazza San Giovanni ha appianato le divergenze?
Credo di sì. Soprattutto perché Salvini è stato riconosciuto come leader della coalizione, e non è cosa da poco, un segno di maturità da parte di Forza Italia. Ora ci sono tutte le condizioni per fare squadra, come abbiamo già fatto alle Regionali. Ripeto, però, vogliamo parlare con tutti, soprattutto ai delusi del M5S, ex partito anti establishment ora partito di sistema.
Se FI crolla, Fd'I cresce. Vi preoccupa un po' il costante trend positivo di Giorgia Meloni?
No, ne prendiamo atto e siamo contenti per loro, significa che gli elementi di novità vengono premiati. Possiamo essere solo contenti della crescita di Giorgia Meloni, perché più guadagniamo tutti e più abbiamo la possibilità di andare a governare il paese.
Ma il centrodestra non parla la stessa lingua. Molti forzisti non sembrano a loro agio tra i sovranisti.
Penso che sulla questione del sovranismo ci sia stato un fraintendimento. Sovranismo non significa ritorno ai vecchi Stati nazionali o anti europeismo. Significa essere promotori di una nuova Europa che metta al centro i popoli e non i poteri forti. Nessuno vuole uscire dall'Unione o dall'Euro, chiediamo solo regole più vicine ai cittadini. Il nostro riferimento sono i Trattati di Roma del 1957, quando si pensava all'Europa come a una confederazione di Stati, nel rispetto di tutti i popoli. A differenza di quanto accade oggi, dove decide tutto la finanza, le multinazionali e le élite.
Finanza, multinazionali, élite. Non sono precisamente l'ossessione di un centrodestra liberale.
E per questo c'è stato un fraintendimento. Che adesso credo sia stato chiarito e superato. Perché per noi sovranismo significa buonsenso e credo che FI non possa che condividere questa posizione.
Archiviata l'Umbria siete già partiti per la campagna d’Emilia?
Certo, Salvini ha già messo a punto il tour. Oggi stesso sarà a Parma e a Piacenza.
Sarà un test definitivo per il governo?
Se dovessimo vincere in Emilia Romagna il governo andrebbe in seria difficoltà. Già l’Umbria è stata un colpo, se saltasse anche la regione più importante per il Pd sarebbe un problema enorme. E Luigi Di Maio sta capendo che l'alleanza coi dem rischia di essere un abbraccio mortale per il suo partito.
In realtà il M5S ha perso tutte le competizioni elettorali anche quando stava al governo con voi.
Questo è vero, ma almeno con noi dimezzavano i risultati, col Pd rischiano di azzerare definitivamente il lo loro consenso. Forse per loro sarebbe stato più utile votare subito dopo la crisi, quando avrebbero potuto ancora rivendicare qualcosa, con un Conte candidato premier ancora un po' immacolato, senza le ombre emerse negli ultimi tempi.
Si voterà anche in Calabria, dove FI vorrebbe esprimere un proprio candidato, e in Toscana, dove è Fd’I ad alzare la voce. Riuscirete a trovare la quadra?
Ma sì, l'abbiamo sempre trovata. È normale che ci siano discussioni e che ogni partito avanzi le proprie pretese, ma alla fine la sintesi si troverà come in tutte le altre competizioni elettorali.
Salvini sembra avere un'idea fissa: piantare la bandiera con Alberto da Giussano in Campidoglio. Volete prendervi la Capitale?
Oggi la Lega è un partito nazionale e non si deve porre alcun limite, anzi, deve coltivare tutte le massime ambizioni. E governare Roma è una di queste, bisogna lavorare in quella direzione. Ce la possiamo giocare e non male.
Gianfranco Micciché al Dubbio ha messo in discussione la capacità della Lega di parlare al Sud. Siete ancora percepiti come il partito del Nord?
A giudicare da come si riempiono le piazze del Meridione a ogni intervento di Matteo Salvini penserei esattamente il contrario. Anche io sono stato più volte in Calabria, in Molise, in Basilicata, in Abruzzo e credo che il Sud ha bisogno della Lega e di Salvini per uscire dagli schemi della politica.