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«Sa cosa teme l’Unione Europea? Il successo della manovra del governo. Altro che spread». Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia politica alla Link Campus di Roma, allievo del ministro Paolo Savona e considerato uno degli economisti di riferimento per il governo, ricostruisce così l’altalena economica che sta accompagnando la manovra.
Da qualche anno abbiamo imparato la parola e ora angoscia i sonni di cittadini e politici. Lo spread deve fare così paura?
Lo spread - ovvero il differenziale tra gli omologhi titoli decennali a tasso fisso tedeschi e italiani - era un elmento sconosciuto per i non addetti ai lavori, almeno fino alla cosiddetta crisi estiva del governo Berlusconi. Oggi capisco che i media gli diano un’importanza rilevante, ma la invito a riflettere su un dato: se vogliamo prendere lo spread come cartina al tornasole per determinare la bontà delle scelte economiche, dovremmo dire che Letta, Renzi, Gentiloni e lo stesso Conte sono considerati dai mercati molto più affidabili di Monti. Dopo la sua famosa manovra lacrime e sangue, che andava nella direzione voluta da Bruxelles, lo spread salì comunque a un massimo di 538 nell’estate del 2012.
Quindi lei dice che è un valore poco utile a valutare la situazione economica?
Dico che la sua interpretazione, spesso, viene fatta a uso e consumo dell’interlocutore. Nel concreto in Unione Europea, invece, lo spread oscilla in funzione di quanto la Banca centrale europea sostiene le economie nazionali con operazioni straordinarie, come è stata quella del quantitative easing. Se vuole una chiave di lettura del perchè lo spread sia salito, ricordo che con il 2018 il quantitative easing terminerà e, da ottobre, l’acquisto di titoli di stato italiani è passato da 80 miliardi a 15.
Nessun baratro vicino, quindi?
Le rispondo da vecchio operatore dei mercati borisistici: se i mercati pensassero che l’Italia sia sull’orlo del baratro o voglia lasciare l’euro, lo spread non starebbe a 292 ma almeno a 10 volte tanto.
Eppure, il ministro Savona ha fissato a 400 punti di spread la soglia psicologica che dovrebbe indurre a modificare il Def.
Bisognerebbe aver ascoltato tutto il discorso di Savona. Lui ha detto che, se lo spread esplodesse, il governo prenderebbe provvedimenti, ma lui è sicuro che non succederà. Oggi, con lo spread sotto quota 300, ha dimostrato di aver ragione. Mi meraviglia, invece, come non sia stato messo in altrettanta evidenza ciò che a detto durante un incontro con la stampa estera, in cui ha espresso la disponibilità del governo a fare una verifica ogni 3 mesi sull’andamento della manovra, per fare eventuali aggiustamenti. Mi sembra che questa sia la massima garanzia da dare a chi, in Unione Europea, teme che l’Italia stia facendo una manovra sconsiderata. Non solo, l’esecutivo ha anche aperto alla revisione dei 2,4 punti di deficit, per il 2020 e 2021. Si tratta di un passo enorme verso le esigenze dell’Ue, che ora dovrebbe fare lo stesso con le esigenze italiane.
A proposito dell’Unione Europea, Salvini ha stigmatizzato le dichiarazioni dei commissari, sostenendo che siano loro a far oscillare il mercato. Possibile?
Salvini ha detto una grandissima verità. I commissari europei sono dei burocrati non eletti e in quanto tali dovrebbero moderare i termini, visto e considerato che parlano dall’alto di una carica di un certo prestigio. Non si sono mai sentite esternazioni del genere prima d’ora. A voler pensare male, sarebbe ipotizzabile che gli stessi commissari, che già hanno le valige pronte perchè a maggio andranno via, ora abbiamo bisogno di trovare successive collocazioni.
Sempre Salvini ipotizza che qualcuno voglia penalizzare la nostra economia per poi comprare le nostre aziende sottocosto.
Purtroppo già da molti anni l’Italia è diventata un outlet a cielo aperto, perchè da noi non sono mai stati attivati i meccanismi di protezione per le aziende di interesse strategico nazionale, come invece hanno fatto Francia e Germania. La questione, però, secondo me andrebbe ribaltata.
In che senso?
Con questa manovra, l’attuale governo ha voluto sovvertire i dogmi fino ad ora imposti dalla governance europea, con l’obiettivo di puntare su crescita, occupazione e contrasto alla povertà. Se ci riuscirà, sarà uno smacco enorme per chi fino ad oggi ha professato politiche diverse e c’è chi non vuole accettarlo.
Lei crede che a spaventare l’Ue sia la possibilità di un successo italiano?
Fino ad oggi le politiche volute da Bruxelles non hanno dato risultati. Se questo governo ci riuscisse, per di più ribaltando i loro paradigmi economici, sarebbe una sconfitta per l’Europa e avrebbe un’enorme conseguenza: anche altri paesi potrebbero sentirsi più che legittimati a seguire le orme dell’Italia. Ecco cosa spaventa l’Unione Europea, oggi.
Ma allora come spiega il fatto che il ministro Tria abbia almeno parzialmente - e pur perdendo - sposato la linea europea, cercando di scendere sotto il 2,4% di deficit?
Tria ha accettato di fare il ministro dell’Economia dopo aver letto e condiviso il contratto di governo, in cui erano scritte le misure che ora si stanno concretizzando. Sapeva che era necessario trovare le coperture e sapeva anche che c’erano da disinnescare 12,4 miliardi per le clausole di salvaguardia sull’iva, pari allo 0,7 della manovra. Per questo si è dovuti arrivare al 2,4%, che io considero il minimo sindacale.
Un parametro dal quale nè Salvini nè Di Maio sono disposti ad arretrare.
E fanno benissimo. L’Italia ha provato a sue spese cosa succede se si seguono le ricette europee: il nostro paese è fanalino di coda in tutti i parametri. Ci siamo affidati a un dottore che per anni ci ha curato male e ora il governo vuole giustamente cambiare la terapia. Anche perchè peggio di così...
Domanda di rito: non è che in questo modo l’Italia gialloverde voglia a uscire dall’euro?
Io credo che non ci sia alcuna volontà in questo senso e che il governo voglia invece rivedere l’impianto della governance Ue, con criteri di equità e sostenibilità. Aggiungo che, siccome questo vento di critica nei confronti dell’Ue soffia in tutta Europa, non si tratta di un problema solo italiano ma è una presa di coscienza di largo respiro.
Le ribalto la domanda: è invece possibile che siano i nostri cugini europei a volerci fuori, perchè non abbiamo rispettato i parametri?
Guardi, se l’Italia uscisse sarebbe uno svantaggio per tutti, primi tra tutti i tedeschi. Loro si avvalgono di un surplus commerciale superiore a quello della Cina, sforando tutte le regole Ue, perchè traggono vantaggio da una moneta che per loro è notevolmente sottovalutata grazie proprio alla presenza di paesi come l’italia. In parole povere: se avessero ancora il marco, non esporterebbero nemmeno un pacchetto di fiammiferi. Se noi uscissimo dall’euro, determineremmo un crollo dell’economia tedesca.
Eppure, i politici europei dicono altro.
Un conto è quello che si dice, un altro quello che si fa. La politica è fatta così. Siamo abituati a pensare che politici difficilmente dicano la verità, lei crede che quelli tedeschi siano diversi?