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Dunque il vertice di maggioranza tanto atteso, quello per definire il “cronoprogramma”, pilastro fondamentale a giudizio del premier Giuseppe Conte per il rilancio della coalizione, è rinviato a data da destinarsi. Ci sarà, è vero, giovedì un confronto preliminare sulla prescrizione, materia scottante e divisiva. Intendiamoci: per un giornale come il nostro ( ma in realtà per la società tutta) fissare paletti stringenti ad una norma ultra contestata da magistrati e avvocati; che è a forte profilo di incostituzionalità; che rischia non di risolvere bensì di aggravare i mali della giustizia, e non se ne avverte davvero bisogno; che minaccia di trasformare il processo in una Odissea senza fine perfino con un verdetto di assoluzione in primo grado; va non bene: va benissimo. Sempre che davvero ci si riesca e non si tratti di un appuntamento col ripetuto copione dilatorio e inconcludente.
Tuttavia anche così è difficile allontanare la sensazione di disagio che provoca l’ennesima scadenza puntualmente e inesorabilmente procrastinata. Cosa che fa risplendere il vecchio adagio andreottiano per cui a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca: e qui il pensiero malevolo è che la verifica venga allontanata per non dover, ancora una volta, monotonamente evidenziare la divaricazione tra alleati.
Che la coalizione giallorossa abbia bisogno di una rassettata al fine di stimolarne il rilancio, non ci piove: lo ammettono gli stessi protagonisti. Perciò razionalità vorrebbe che venisse considerata come una vera e propria emergenza, da eliminare al più presto possibile. Senza trasformarla in una fake news col bollino dell’eterno differimento.
Invece accade il contrario. E di conseguenza il pensiero malevolo di cui sopra si biforca: non più solo lo sfrangiamento è causa del rinvio ma anche la voglia di attendere i risultati delle amministrative di fine mese in Emilia e in Calabria: soprattutto il primo perché, a detta di molti, così potenzialmente esplosivo in caso di vittoria della Lega da provocare la crisi e la caduta (?) del Conte bis.
Se infatti davvero così fosse, si assommerebbero due elementi negativi. Il primo, di rivestire il voto emiliano- romagnolo di una vernice con valenza politica enorme, da “fine di mondo” direbbe il dottor Stranamore, la cui figura grottesca del film di Kubrick è chiamata in causa dai missili Usa contro il generale Soleimani. Cioè esattamente il contrario di ciò che va chiedendo e sostenendo il governatore Pd uscente - e l’esercito di Sardine con lui -, Stefano Bonaccini. Il quale vuole strapparsi di dosso ogni etichettatura politica per eventualmente vincere solo in virtù dei risultati amministrativi raggiunti.
Il secondo elemento problematico risiede nel fatto che con il rinvio della verifica il faccia a faccia Zingaretti- Di Maio finisca per assumere una luce particolare. Non di un esame preliminare dei nodi governativi quanto di una convergenza in vista del voto di fine gennaio per farsi, diciamo così, reciprocamente il meno male possibile. In entrambi i casi, con il risultato di rinfocolare il morbo italiano più pernicioso: la sindrome della campagna elettorale continua. Fatta di grida altissime e stentorei lai, e di nessuna decisione. Tranne il rinvio, ovviamente.