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«Credo sia giusto considerare la storia del processo del lavoro. Ci si deve riflettere alla luce dell’esclusione degli avvocati, ribadita nel ddl civile, dalla possibilità di condurre conciliazioni non impugnabili in tale materia». Marcello Basilico non è semplicemente un magistrato lavorista: non solo è il presidente della sezione Lavoro di un Tribunale importante come quello di Genova, non solo presiede la commissione istituita in materia dall’Anm e fa parte della giunta che “governa” l’Associazione, ma si è trovato a «rappresentare la magistratura a tavoli tecnici con a fianco rappresentanti dell’avvocatura» e a «scrivere proprio con i giuslavoristi, per esempio, la norma che rimedierebbe ai paradossi del rito Fornero».
Basilico non esita dunque a dire che «a partire dalla riforma che nel ’ 73 ha creato il rito del lavoro come lo intendiamo oggi, buona parte degli avvocati ha acquisito appieno la competenza, la affidabilità, la qualità e il rigore deontologico per assicurare la tutela degli assistiti anche in fase conciliativa». Ma per la stessa forma di rispetto della professione forense, Basilico tiene anche a rivolgere un appunto all’avvocatura: «Ne colgo una posizione troppo fredda rispetto ad alcuni peraltro limitati interventi normativi che assicurerebbero notevoli passi avanti quanto a effettività della tutela».
A cosa si riferisce?
In particolare alla norma prevista all’articolo 614 bis del codice di procedura civile secondo cui il giudice può imporre in sentenza sanzioni ulteriori al debitore eventualmente inadempiente: è incomprensibile che le cause di lavoro restino escluse da quella norma.
Sul punto il ddl Bonafede non interviene?
Non lo fa neppure sul rito Fornero: in quel caso l’intervento c’è ma è inadeguato il veicolo, una piccola norma di delega. Vuol dire che dovremo attendere i decreti legislativi e che nel frattempo persisterà la schizofrenia dell’ordinamento: gli assunti fino al 2015, se licenziati, devono far riferimento al rito Fornero, mentre i rapporti di lavoro avviati in seguito non sono più regolati da quella disciplina. Un disordine superabile con un decreto in 6 commi. Ne avevamo proposto una stesura insieme con l’allora presidente degli avvocati giuslavoristi, e ci saremmo aspettati che il precedente e l’attuale governo l’avessero resa immediatamente operativa.
E la sanzione per i debitori inadempienti?
Noi magistrati l’abbiamo sollecitata al ministro, non è entrata nel testo della legge delega, e riteniamo anche qui contraddittorio escludere tali sanzioni previste per ogni altra causa civile proprio in un campo come quello lavoristico in cui i crediti sono maggiormente tutelati. Nello specifico l’avvocatura non ha manifestato disponibilità a unirsi alle richieste dell’Anm.
Intanto nell’avvocatura è forte il disappunto per l’occasione mancata sulle negoziazioni in materia di lavoro.
Ribadisco; gli avvocati hanno dimostrato di essere pienamente titolati a esercitare la tutela dei diritti in materia lavoristica anche con conciliazioni non impugnabili. Da giudice del lavoro non ho pregiudizi. Posso solo dire che in una materia del genere la previsione di albi specialistici può essere a maggior ragione utile: rispetto a un civilista puro, l’avvocato lavorista ha maggiore consapevolezza della prospettiva a cui si va incontro se ci si inoltra nel processo. Ma c’è anche un rovescio positivo della medaglia.
A cosa si riferisce?
All’idea di introdurre l’avvocato in Costituzione, che personalmente non trovo affatto infondata. E che assume un significato anche alla luce del ruolo svolto da difensore nelle procedure conciliative. Ne conseguirebbe una più chiara consapevolezza del ruolo sociale dell’avvocato sia presso l’opinione pubblica sia all’interno della stessa professione forense.
Come si spiega allora l’eliminazione in extremis delle negoziazioni sul lavoro dal ddl civile? Ha prevalso la diffidenza?
Non credo a un pregiudizio. La facoltà di condurre conciliazioni non impugnabili rappresenta, piuttosto, uno strumento qualificante della rappresentanza sindacale: può aver avuto un peso il timore delle organizzazioni sindacali rispetto all’ipotesi di condividere quella facoltà con altre categorie. A maggior ragione in una fase in cui la rappresentatività è in crisi.
Ma lei, come magistrato che presiede una sezione Lavoro, si sentirebbe sollevato nel sapere che una parte del carico viene risolto dalle negoziazioni tra avvocati?
Certamente non avrei alcun pregiudizio. Faccio una riflessione sempre senza chiamare in causa il mio ruolo nell’Anm: già oggi in fase di conciliazione gli avvocati si impegnano in un’attività sulla quale in sede giudiziale si opera talvolta una semplice ratifica. Se tale attività viene anticipata rispetto al processo non può che essere positivo. Poi è vero che le ricadute effettive sui carichi di lavoro andrebbero testate: il giudice resta comunque più ascoltato, quando suggerisce di considerare attentamente i costi e l’onere di un lungo processo. Ma qui incrociamo una valutazione più generale sul ddl appena deliberato dal Consiglio dei ministri.
Velocizzerà i tempi?
Qui parlo da componente della giunta Anm, e credo di essere d’accordo con le rappresentanze forensi nel dover ricordare che le riforme della procedura civile non hanno mai prodotto accelerazioni. A fare la differenza sono le risorse, com’è confermato dai casi virtuosi delle sedi in cui l’arretrato civile si riduce e dove appunto si crea un felice connubio fra maggiore disponibilità di personale e buone prassi organizzative, favorite anche dalla sensibilità degli avvocati.
Il governo rivendica un piano di assunzioni consistente.
Ma si tratta di assunzioni che intervengono su carenze d’organico cronicizzate. E si dovrà comunque fare i conti non solo con i tempi dei concorsi, ma soprattutto con le scoperture comunque prodotte da quota 100. Non si può tacere del fatto che al processo amministrativo siano state destinate risorse finanziarie specifiche per eliminare l’arretrato, e che nel civile si pretende di procedere a costo zero.
Il civile ha fatto da apristrada nella digitalizzazione.
E adesso però ci troviamo con apparati strumentali del tutto inadeguati. Non ci sono interventi sulle risorse informatiche, a metà gennaio scade il sistema operativo che si adopera in tutta Italia. Qualsiasi tecnico chiamato per l’assistenza ci dice che i nostri pc sono obsoleti. Basterebbe uno staff di tre persone, nella maggior parte degli uffici, per assicurare un salto di efficienza difficile anche da immaginare.