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La dice lunga sulle condizioni patologiche delle istituzioni la "invasione di campo" lamentata, anzi denunciata, dal presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida. Che si è visto respingere, insieme con altri avvocati, da una giudice ordinaria del tribunale civile di Milano, Loreta Dorigo, il ricorso presentato contro il quesito unico, anziché spacchettato, sul quale gli elettori italiani sono stati chiamati il 4 dicembre a confermare o bocciare la riforma costituzionale ormai targata Matteo Renzi.L'invasione di campo sarebbe consistita nel diritto rivendicato ed esercitato dalla giudice ordinaria di decidere da sola, anziché rimettere la questione di legittimità alla Corte Costituzionale. Dove evidentemente Onida riteneva, e forse ancora ritiene, di avere ragione, se mai volesse impugnare la scelta della giudice.Do naturalmente per scontato che il professore Onida, tante volte disturbato a intrattenere la stampa parlamentare in corsi di aggiornamento, e quindi persona a me ben nota per il suo garbo e la sua dottrina, non basasse e non basi la convinzione di poterla spuntare, se davvero ci provasse ancora, per essere stato presidente dell'alto consesso del Palazzo della Consulta. Che ha peraltro la fortuna di trovarsi proprio di fronte al Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica: con tutte le maiuscole a posto, vi raccomando.Non vi sono precedenti solidi, in verità, a cui appigliarsi contro la decisione adottata a monte dalla Corte di Cassazione, condivisa poi nel decreto di sua competenza del capo dello Stato, di formulare il quesito referendario usando il titolo della legge approvata dalle Camere con una maggioranza inferiore ai due terzi, e perciò valida solo se ratificata col referendum dagli elettori: questa volta senza limiti di partecipazione, cioè senza quorum, come avviene invece per l'abrogazione, sempre referendaria, delle leggi ordinarie.Quel furbacchione di Renzi, alla luce del sole, non di nascosto, come parrebbe dalle polemiche rovesciategli addosso dagli avversari, ha avuto l'accortezza di dare alla riforma non il solito, laconico titolo burocratico, comprensibile solo agli addetti ai lavori, ma un elenco sia pure sintetico delle novità introdotte con la riforma. Che sono: la riduzione dei parlamentari, anche se solo dei senatori; la riduzione dei costi della politica, visto che i senatori scendono da più di 315 a 100 e perdono l'indennità, con la sola eccezione di quelli a vita ancora in carica; la fine del bicameralismo paritario, assumendo le due Camere ruoli prevalentemente diversi, e non avendo più il Senato il compito di dare o negare la fiducia ai governi; la soppressione del Cnel e una nuova formulazione delle competenze delle regioni.Se Onida ritiene che la giudice ordinaria di Milano ha "invaso" le competenze dei giudici costituzionali, sostituendosi praticamente a loro, perché esita o è addirittura contrario, come dicono alcuni, ad appellarsi alla Cassazione, secondo un percorso da lui stesso ipotizzato in una intervista al Corriere della Sera? Il motivo è tutto politico. Il professore, schieratissimo sul fronte del no referendario, teme che una sua resistenza finisca per fornire argomenti o pretesti al "complotto" denunciato da Marco Travaglio e amici contro la scadenza ormai vicina del 4 dicembre, destinata secondo loro, in base ai sondaggi, a tradursi in una sonora sconfitta di Renzi. Al quale pertanto, nonostante la speranza o certezza ostentata di una sua vittoria, farebbe comodo un rinvio, comunque motivato. Magari, con l'aiuto e i consigli di soppiatto di autorevoli amici, a cominciare dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, di cui Il Fatto Quotidiano ha un'autentica ossessione, scorgendone l'ombra ovunque.Se le cose stanno così, come purtroppo stanno, torno a chiedermi, come ho già fatto sul Dubbio, se la nostra sia ancora una Repubblica parlamentare, o non sia invece una Repubblica giudiziaria, dove le carte le danno e le tolgono i magistrati, spesso confliggendo fra di loro. Una Repubblica non più turrita, come è ancora effigiata, ma togata, visto anche che le torri comunali sono sotto schiaffo sismico. Una Repubblica dove persino un giurista della stoffa del buon Onida sembra desistere, a torto o a ragione, dalla sua visione della giustizia, ordinaria o costituzionale che sia, per mere considerazioni di opportunità politica. Cioè di lotta politica, e che lotta, qual è quella che si sta svolgendo all'ombra del referendum del 4 dicembre.