Marco era all’Hotel Minerva, in digiuno totale. Dalla televisione avevo saputo che chiedeva spazi di informazione a favore della LID (lega italiana per i divorzio) e per gli altri soggetti non presenti in Parlamento.Mi ricordavo di Pannella dai tempi dell’università, lui matricola ed io laureanda: faceva già politica ed io lo consideravo un perdigiorno, perché avevo fretta di laurearmi e lavorare.Trent’anni dopo, di colpo capii che “quella” politica, la sua politica, doveva essere qualcosa di molto serio ed importante, se lui era disposto a giocarcisi la pelle.Telefonai all’albergo, convinta di trovarlo circondato da suoi fedeli, e chiesi al centralino - nel mio stupido linguaggio professionale - di passarmi “qualcuno dello staff di Pannella”. Rispose lui, gli dissi “Sono una qualunque, laurarconti” e lui: «Come, una qualunque? So benissimo chi sei, sei Laura Conti». Mi aveva scambiata per quel medico che aveva rivelato al mondo il disastro di Seveso.Chiarito che no, ero proprio una qualsiasi, gli chiesi: “Che cosa posso fare, per dare una mano? ”. Mi rispose «Vai al Partito, porta dei soldi, chiedi ai compagni, ti diranno loro che cosa fare». Portai al Minerva una rosa rossa ed una busta contenente tutti i contanti che mi riuscì di mettere assieme in poco tempo, e dall’indomani cominciò la mia lunga militanza, di quasi mezzo secolo, sempre al fianco di Marco, sempre con lui e con quelli che sono rimasti accanto a lui per un percorso lungo o breve.Sto pensando a quella rosa rossa, di cui Marco si ricordava spesso, definendola “la prima rosa che mi è stata regalata nella mia vita”: e ne parlò più volte, in varie occasioni anche pubbliche.Sto pensando alla marcia di Natale del 2013. Io la seguivo a bordo di una macchina elettrica da città con alla guida Isio Maureddu. Marco era già malato, camminava ma lo vedevamo affaticato. Deborah riuscì a convincerlo a salire accanto a me. Mi seppellì con la sua mole, mi affumicò col toscanello alla grappa… ed io ero profondamente felice.Ho rivisto Marco a casa sua domenica 24 aprile. Non abbiamo parlato di politica, abbiamo parlato del gabbiano e dei colombi sul tetto di fronte, ci siamo affacciati insieme alla finestra, piegando i lunghi corpi sofferenti sotto le travi, mentre Deborah e Mirella gridavano “ma fate attenzione, voi due, matti che non siete altro! ”. Ci siamo abbracciati più volte. Non è stato un saluto, è stato un imprimerci per sempre il ricordo delle sue mani strette alle mie, del mio sguardo fisso nel suo.Marco resterà con noi, lui che ci ha parlato della compresenza dei morti e dei viventi. Noi, i rimasti, abbiamo il compito di conservare e raccontare la vera storia di Marco Pannella, del Partito Radicale e della nonviolenza, a un mondo che forse non lo ha mai capito veramente: e che certamente non è stato degno di lui.