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Più che un libro, è un mare pescoso nel quale basta immergere una mano per tirare su tante specie: dai predatori con i denti in bella mostra, ai silenziosi (e produttivi) frequentatori delle acque profonde. Perciò ci sono molte cose da leggere nelle oltre 500 pagine del libro di Roberto Napoletano, ex direttore del Messaggero e del Sole24ore, intitolato Il Cigno nero e il Cavaliere bianco, giunto alla terza edizione e da mesi in classifica. Una, tuttavia, è più importante delle altre. Avverte che l’Italia, terra ricchissima di ingegni e capacità, ha pericolosamente e sciaguratamente abbassato le sue difese diventando così perimetro di scorribande e accaparramenti nei quali si distinguono i cugini francesi; e questo, tra l’altro, perchè continua a sorvolare sulla sua vera palla al piede: l’enorme debito pubblico che divora risorse e possibilità di crescita.Dunque oltre al racconto fatto, per così dire, in viva voce dai protagonisti economico-politici del nostro Paese, c’è un ammonimento che dal libro traspare e che in queste settimane in cui il presidente Sergio Mattarella si dibatte inutilmente nei meandri di una crisi post-voto sempre più indecifrabile, diventa di primissimo interesse. Così riassumibile: visto che si dibatte di modelli istituzionali (e di leadership politica) da importare e che i riferimenti più gettonati riguardano il semi-presidenzialismo francese e il Cancellierato tedesco, procediamo pure nella discussione ma tenendo ben presente che i player rampanti di quei due Stati, a volte annidati perfino nelle stanze dei poteri pubblici, stanno operando in modo assai disinvolto, calpestando regole che loro stessi hanno ideato, al fine di zittire l’Italia, declassandola sul piano dei rapporti diplomatici o, più semplicemente, acquisendo direttamente i pezzi più pregiati del sistema-Paese. Per cui attenzione: «C’è una zona grigia con tanti furbacchioni e molti disgraziati - scrive Napoletano riferendosi ai sommersi e ai salvati degli shock bancari nei quali verità e interessi si sono melmosamente avvinghiati - dove addentrarsi può riservare sorprese pesanti che fanno giustizia del qualunquismo demagogico imperante. Per questo fa davvero effetto, in un analfabetismo finanziario crescente vedere additati al pubblico ludibrio gli uomini che hanno salvato il risparmio italiano e il futuro del Paese, mentre chi a livello politico dovrebbe recitare il mea culpadiventa paladino dei furbacchioni probabilmente complici». Ogni riferimento agli attacchi, cui ha fatto scudo il Quirinale, al governatore di Bankitalia Ignazio Visco, o al profluvio - più sotterraneo ma non meno malmostoso - di rilievi all’operato del presidente della Bce Mario Draghi («Il banchiere centrale più importante e di successo degli ultimi 35 anni», parola di Larry Summers, ex segretario Usa al Tesoro), è espressamente voluto.L’analisi accurata e il racconto approfondito delle vicende italiane svolto da Napoletano, prende di mira in particolare i raider (anche con ruoli istituzionali) d’Oltralpe che hanno eletto l’Italia a paradigma dei loro interessi e delle loro scorribande. Per capire come stanno le cose, bisogna tenere bene a mente le parole di Emanuel Macron - che in Libia ha, per ora invano grazie alla lungimirante azione di Marco Minniti, tentato di rinverdire i tragici fasti del predecessore Sarkozy - secondo le quali la Francia sarà in pochi anni la prima o la seconda manifattura d’Europa: «Può accadere - avverte Napoletano - solo se si compra l’Italia, se noi ci facciamno comprare, se la Germania glielo consente». Roba da brividi.Come lo è scorrere l’elenco di ciò che era italiano e ora è finito in mani francesi. Il leader delle razzie è Vincent Bollorè, «esponente di un capitalismo predone francese di gran lunga più predone del capitalismo di relazione all’italiana». Ha in mano le telecomunicazioni del Paese, punta ad accaparrarsi Mediaset strappandola al suo ex amico e mentore Berlusconi e, stando saldamente ancorato sulla tolda di comando di Mediobanca, con in portafoglio il 13 per cento di Generali, «punta al grande slam assicurativo». Lui sorride, Alberto Nagel da via Filodrammatici completa l’opera; Cuccia e Maranghi si rivoltano nella tomba. Per fortuna c’è chi vuole mettere un freno alla smodata volontà di accaparramento al suono della Marsigliese, ed è il ministro dello Sviluppo, nonché fresco possessore della tessera del Pd, Carlo Calenda. Nella chiacchierata riportata nel libro, Calenda racconta di essere ad un certo punto sbottato di fronte a Arnaud de Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendì (Bollorè) e dal primo giugno presidente esecutivo di Telecom: «Non ci potete trattare come la Guayana francese». Tanto per capire il clima.Sfogo più che giustificato, visto che la mano morta francese accarezza con voluttà tante eccellenze italiane. «I francesi di LVMH che sono il più grande gruppo del lusso al mondo - sottolinea l’autore - si sono comprati Fendi, Bulgari, Loro Piana, Emilio Pucci, Acqua di Parma e Berluti. Hanno acquisito perfino la pasticceria Cova, fondata a Milano nel 1817, pagando venti milioni di euro, quasi il doppio dell’offerta di Prada. Una cifra enorme, ma che alla voce simboli vale due secoli di storia milanese». I francesi di Kering, secondo gruppo del lusso, si sono presi Gucci, Pomellato, Bottega Veneta, Brioni.Non basta: «Demografia, energia, sicurezza, banche, credito ed economia reale sono i campi di battaglia scelti dalle armate francesi per vincere la guerra di annessione economica dell’Italia del nord alla Francia».Ci si può opporre, naturalmente. A loro come ai tedeschi, più sospettosi e guardinghi ma altrettanto determinati ad accaparrarsi i gioielli di famiglia italiani. Come? «Facendo con il debito pubblico ciò che si è fatto con gli immigrati», è la ricetta di Carlo Messina, patron di Banca Intesa. C’è qualcuno, tra i leader politici impegnati a realizzare un governo, che è interessato a dargli retta?