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Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede conosce bene la legge Pinto del 2001 che introduce il diritto al risarcimento per danno esistenziale patrimoniale e morale e – fra le varie fattispecie - considera la violazione al diritto, costituzionalmente garantito, alla ragionevole durata del processo. Invero Bonafede, nel 2002, un anno dopo la legge Pinto, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Firenze con la tesi “Il danno esistenziale. Il nodo al pettine della responsabilità civile” e, nel 2009, ha conseguito la laurea di dottore di ricerca all’Università di Pisa col tema del danno non patrimoniale alla luce del diritto europeo. Sa dunque che abolendo la prescrizione dopo il primo grado di giudizio i tempi dei processi possono allungarsi creando danni patrimoniali e morali ingenti, per i quali il risarcimento sarebbe troppo tardivo.
Cesare Beccaria, nel capitolo 13 del libro “Dei delitti e delle pene”, sostiene la necessità della prescrizione per la certezza della pena. Questa, egli scrisse, generalmente svanisce se il processo tarda a concludersi. Solo per delitti atroci come l'omicidio essa deve esser lunga, perché la atrocità del reato desta a lungo un turbamento sociale, ma dovrebbe essere minore per gli altri reati, in rapporto alla loro minor gravità. Circa i processi che durano all’infinito, Beccaria nel capitolo 19 dedicato a “La prontezza della pena”, scriveva: «Il processo deve esser finito nel più breve tempo possibile. Qual più crudele contrasto che l’indolenza di un giudice e le angosce di un reo? I comodi e i piaceri di un magistrato da una parte e dall’altra le lacrime e lo squallore di un prigioniero?». E aggiungeva: «La prontezza delle pene è più utile perché quanto è minore la distanza nel tempo che passa fra la pena e il misfatto, tanto più forte e durevole nell'animo umano l'associazione di queste due idee, delitto e pena». «La certezza della pena, benché moderata – scriveva altresì Beccaria nel capitolo 20 - farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile castigo unito alla speranza dell'impunità».
Il teorema che se ne ricava, utilizzando gli scritti economici del Beccaria, che, come professore, non aveva una cattedra di Diritto penale ma di Economia pubblica a Milano appositamente per lui istituita, è che una pena di 100 con probabilità di applicazione del 30%, ha una valore deterrente e punitivo del 30% soltanto, ossia quanto una pena di meno di un terzo erogata in tempi certi. Immagino che Alfonso Bonafede consideri Cesare Beccaria “un superato” e non si curi della sua tesi sul contrasto fra i comodi e i piaceri di un magistrato da una parte e dall'altra le lacrime e lo squallore di un prigioniero e le angosce di un reo, in attesa del giudizio definitivo. Però sulla base della tematica del danno esistenziale derivante dalla irragionevole durata del processo, nella sua “Rousseauviana” riforma ha introdotto l’ossimoro “niente prescrizione dopo il primo grado di giudizio” e “processo breve” tramite penalizzazioni dei magistrati che ne allungano indebitamente i tempi. Ora se, a causa dell’efficacia della regola che dispone penalizzazioni, il processo funziona, a che serve abolire la prescrizione? Semmai bisogna puntare sugli ostacoli oggettivi a un processo di durata ragionevole, adottando regole procedurali che riducano i tempi processuali e quelli dei ricorsi successivi delle parti in causa, dotando gli uffici giudiziari di adeguate strutture elettroniche a somiglianza di quelle dei settori della produzione e del commercio di beni della moda, con il sistema “cross channell” in cui l’azienda, con le tecniche informatiche, personalizza le vendite e le velocizza accelerando il ciclo dalla produzione al consumo, in modo interattivo. Analogamente la produzione di perizie, di indagini e la connessa attività processuale si possono monitorare e personalizzare per via informatica, sempre in modo interattivo.
Ma se la regola sul processo breve non funziona, perché le strutture non sono ammodernate e il personale è inadeguato, perché abolire la prescrizione che dispone tempi lunghi ma definiti, per processi complessi e uffici ingolfati di procedimenti? Perché supporre che giudici, pubblici ministeri e loro collaboratori si comportino come “angeli “, anziché come esseri umani che tengono condotte che giovano a loro, ma non necessariamente ai tempi brevi dei processi, sol perché loro colleghi, che non sono neppur essi angeli, dovrebbero penalizzarli quando i processi appaiono “irragionevolmente” lunghi, muovendosi lentamente negli uffici congestionati, senza che si possa addebitare ciò al comportamento specifico di qualcuno? La teoria della burocrazia della scuola di “Public choice” ( scelte pubbliche) di cui io faccio parte, sostiene, anche sulla base di ampie ricerche empiriche, che, in ogni ramo della pubblica amministrazione in senso lato, ivi incluso il potere giudiziario, vi è la tendenza a condotte opportunistiche perché le persone non sono angeli ma esseri umani, e sono alla ricerca di tempo libero durante il servizio. Esso, per i funzionari di minor livello consiste nell’assentarsi dall’ufficio o nell’usarlo anche per gli affari personali. Per quelli di maggior livello consiste nel dedicarsi a ciò che dà prestigio, visibilità, eventuali futuri benefici in altre attività. Ed ecco, fra le perverse conseguenze dell’ossimoro di Bonafede, quella derivante dal principio giuridico dell’unità del diritto.
Questo principio induce il Guardasigilli ad applicare il suo doppio criterio della abolizione della prescrizione dopo il primo grado e dei disincentivi ai processi “irragionevolmente” lunghi non solo al processo penale, ma ai reati, in ogni specie di processo, con effetti economici negativi per l’intreccio fra procedimento civilistico e penale, per i reati bancari e societari e per i fallimenti. Nei procedimenti amministrativi e delle autorità di controllo del mercato la distinzione fra sanzioni amministrative e penali è prevalentemente interpretativa. Nelle Commissioni tributarie ci sono tematiche penali. In tali casi, dovrebbe cadere la prescrizione dopo il primo grado? La Corte dei Conti innesta le richieste di risarcimenti per danno erariale ( anche morale) sull’accertamento di reati. Qui, di nuovo, interviene la teoria di Public Choice - di cui si può leggere vuoi nei miei Principi di Economia Pubblica, vuoi nel mio Manuale di Scienza delle Finanze ( edizione inglese Public Economics A Public Choice Approach) - sulle condotte opportunistiche dei burocrati ( nel senso ampio che include anche la Giustizia), connesse alla pressione dei gruppi di interesse. Se le Corti possono far durare i processi discrezionalmente senza prescrizione e sono affollate, ai gruppi di interesse con molto potere di pressione converrà influenzare gli apparati in vari modi per allungare i processi agli “amici” e accorciarli ai rivali. Le persone e le compagnie finanziarie e industriali che hanno più mezzi economici e più collegamenti con i poteri politici e gli organismi di interessi ( associazioni di consumatori, sindacati, organismi di industriali e di commercianti etc.) potranno mobilitarsi per “difendersi nei processi” con ogni virtuosismo. L’idea del processo senza prescrizione è la sostituzione del principio movimentista della “lotta continua” con quello della “lite continua”, della minaccia eterna della pena come principio di massimizzazione del potere giudiziario discrezionale, ottenuto quando vengono abrogate una o più regole dello Stato di diritto fra cui il principio della “riserva di legge” in base al quale il potere giudiziario non è discrezionale.
Nel regime senza prescrizione si massimizza questa scelta del potere giudiziario: con una differenza, non prevista da Cesare Beccaria, ossia che quando il processo coinvolge una compagnia molto ben organizzata e influente, in luogo delle lacrime e dello squallore del prigioniero, vi è l’impunità di chi, di fatto, ha il processo ma non la pena, come in un gioco del circo in cui il domatore ha di fronte una belva che ringhia ma non morde. Il meccanismo del mercato è inceppato e reso incerto dall’arbitrio giudiziario: che non nasce dalla natura umana dei giudici, dei cancellieri, dei loro inservienti, ma dalle regole: come spiega, appunto, la teoria di Public choice, in regime di razionalità limitata e di natura umana imperfetta, quando si tolgono regole che tutelano la libertà. Cesare Beccaria diceva che il diritto a punire è un modo con cui il cittadino si priva di un po’ della sua libertà, per poterne godere una maggiore. La regola ha valore generale. Il progetto Bonafede la viola. C’è da augurarsi una crisi di rigetto dei principi rousseauviani pentastellati in cui è stato covato questo uovo di serpente.