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La frivola indignazione suscitata dal servizio fotografico che Vogue ha consacrato a Volodymir Zelensky e alla consorte Olena è uno dei punti più bassi raggiunti dalla nostra opinione pubblica. Un abisso di stupidità e moralismo da aperitivo. «Osceno», «disgustoso», «abominevole», «vergognoso», gli aggettivi scorrono a ruota libera per bacchettare la scelta del presidente ucraino, reo di mancare di rispetto al suo popolo martellato dalle bombe. Certo, ci sono reazioni meno bavose e leggermente più sofisticate, come quella di Selvaggia Lucarelli che trova il servizio «straniante» e «poco sintonizzato» con le durezze della guerra, ma il succo del discorso rimane lo stesso. Come si permette quel guitto di Zelensky a mettersi in mostra per una rivista glamour mentre gli ucraini vivono indicibili sofferenze? Ma come fa a “trovare il tempo” per una simile pagliacciata? Che cattivo gusto signora mia! Già, cosa volete che siano le città rase al suolo dai missili kalibr, le fosse comuni, le esecuzioni di civili inermi, le camere delle torture, i milioni di profughi in fuga dalle atrocità di fronte al cattivo gusto della coppia presidenziale!? Le buone maniere prima di tutto. Pensieri che sembrano provenire da un universo parallelo in cui Zelensky NON ha mai rifiutato il dorato esilio americano offerto da Biden e NON è mai restato in Ucraina accanto ai suoi concittadini, rischiando la sua vita e quella dei suoi familiari. L’impressione è che molti vivano in quell’universo parallelo, in quella realtà virtuale dallo scorso 24 febbraio data di inizio dell’ “operazione speciale” di Vladimir Putin e dei suoi generali. A proposito di Putin, sarà forse un caso ma quasi nessuno nel coro salottiero degli indignati è stato capace di citarlo per nome una sola volta: l’aggressore, il carnefice, la causa primaria del conflitto spariscono magicamente, e le vittime sono così vittime di se stesse, come se la guerra Kiev se la fosse dichiarata da sola. Un effetto positivo però il servizio di Vogue però l’ha provocato: per la prima volta dall’inizio della guerra gli haters di Zelensky parlano di Bucha e Irpin e sembrano “empatizzare” sinceramente con gli ucraini. È già un bel passo avanti: nei giorni in cui le brutalità e i crimini di guerra dell’armata russa venivano alla luce non sembravano così empatici con i civili ucraini, anzi, evocavano «montature», «fake news» denunciavano la «propaganda ucraina» e quella della Nato. Proprio come i tetragoni portavoce del Cremlino, soltanto che questi ultimi sono in guerra e sono costretti a svolgere il loro sporco mestiere. La nostra agguerrita falange di commentatori, opinionisti e influencer invece si indigna “gratis”, sorseggiando spritz e birre artigianali dai wine bar di tendenza del Pigneto o dei Navigli milanesi. Rigorosamente equidistante tra uno stupro, un massacro di civili e la foto di copertina di una rivista patinata.