L’attentato di Butler, in Pennsylvania, in cui Donald Trump ha rischiato di essere ucciso poteva cambiare la storia degli Stati Uniti e non solo. Il ferimento del tycoon cambierà con tutta probabilità il corso della campagna elettorale in vista delle presidenziali del 5 novembre. Trump potrebbe assumere un atteggiamento moderato per ingraziarsi tutti i repubblicani e sbancare alle elezioni, capitalizzando al massimo la crisi di consenso di Biden in difficoltà anche per condizioni di salute non più ottimali. Ne abbiamo parlato con il professor Gianluca Pastori, associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa nell'Università Cattolica di Milano ed esperto di Relazioni transatlantiche dell’Ispi.

Professor Pastori, dopo l’attentato che ha riguardato Trump, quali scenari si possono delineare per la campagna elettorale delle presidenziali e per la politica statunitense?

Prima di tutto, occorre dire che Trump è riuscito a ottenere un altro piccolo vantaggio nella sua corsa per la Casa Bianca. Le immagini del comizio di Butler sono destinate a rafforzare il consenso dei suoi elettori e, forse, portargli qualche voto aggiuntivo. Dire, però, che l'attentato è il game changer della campagna elettorale degli Stati Uniti significa spingersi un po' troppo avanti. Arriva di sicuro un altro po’ di acqua al mulino repubblicano.

Fino al voto di novembre, Trump punterà ad esasperare gli animi oppure cercherà di usare un tono da leader responsabile e non populista?

Già da qualche tempo Trump sta cercando, seppur sempre a modo suo, di abbassare i toni. Ad esempio, questa cosa mi ha molto stupito, l’ex presidente non ha cercato di esaltare il successo ottenuto durante il dibattito televisivo con Biden di qualche settimana fa. L’impressione è che Trump voglia abbassare i toni, forse per andare incontro a quella componente moderata del partito repubblicano che non lo ha mai veramente amato per i comportamenti sopra le righe.

La veste di pacificatore dell’America, dopo aver rischiato di essere ucciso, si addice al tycoon?

No, assolutamente. Anche perché c'è una parte di America che non vuole essere unificata sotto l'egida di Donald Trump. Direi che l’ex presidente sta cercando di proporsi come il federatore dei repubblicani. Sembra aver raccolto il messaggio lanciato da un’importante esponente repubblicana, Nikki Haley, ritiratasi dalla corsa per la nomination, con l'invito rivolto ad essere il presidente di tutto il partito repubblicano. Mi sembra che Donald Trump ci stia provando.

La scelta del vicepresidente degli Stati Uniti è una tappa molto importante. Una figura moderata tra i repubblicani potrebbe rappresentare una svolta e dare anche un volto presentabile al candidato Trump?

Sì, la scelta del ticket sarà fondamentale. In questo momento girano ancora tanti nomi, ma l'impressione è che Trump voglia concedere qualcosa all'opposizione interna. Sarà, a mio modo di vedere, un vicepresidente di compromesso; un vicepresidente che possa, in qualche modo, andare dietro alle inclinazioni di Trump, ma allo stesso tempo che non accentui troppo il carattere dell’aspirante presidente. Un po' come è stato Mike Pence nella campagna elettorale del 2016. Quando il candidato alla presidenza degli Stati Uniti sceglie il compagno di corsa, si tiene sempre in considerazione l'equilibrio interno al partito. È qualcosa che si ripete in occasione delle presidenziali e non vale soltanto nel caso di Trump.

Guardando invece in casa dei democratici, l’attentato di sabato scorso metterà ulteriormente in difficoltà Joe Biden? Come potrebbe reagire il presidente degli Stati Uniti?

Biden ha già risposto all'attentato con un discorso in cui ha invitato ad abbassare i toni. Da un certo punto di vista anche Biden può utilizzare la carta dell'attentato. Ha gioco facile nel sostenere che quello che è successo deriva da un clima politico avvelenato che ha sempre denunciato già dalla campagna elettorale del 2020. Biden può continuare a rappresentare l’anima moderata dell’elettorato statunitense, sempre che il presidente uscente sia il candidato delle elezioni del prossimo novembre. In casa dem il problema è capire chi sarà il candidato alla presidenza degli Stati Uniti. In merito all'opzione ritiro-non ritiro, i vertici del partito democratico sono divisi. Quindi, prima ancora di pensare al vicepresidente si tratta di comporre la frattura interna venutasi a creare tra i democratici. Credo, quindi, che i prossimi giorni saranno fondamentali. Mi sembra impossibile che il partito vada a una convention aperta, cioè senza nessun candidato dichiarato alla nomination. Sarebbe veramente un atto distruttivo dal punto di vista politico e in prospettiva del voto.

Maria Zacharova, portavoce del ministro degli esteri russo, ha detto, poche ore dopo l’attentato di Butler, che la Casa Bianca non armerebbe la mano di un giovane per colpire un esponente politico importante come Trump, ma userebbe altri metodi. Cosa ne pensa?

Mi sembra una presa di posizione più che altro legata all’attualità dei rapporti fra Russia e Stati Uniti, piuttosto che un commento relativo all'attentato in sé per sé. C'è un aspetto inquietante nel commento proveniente da Mosca. Si adombra l’idea di un complotto. È un po' dire negando. Non sono questi i metodi che verrebbero usati, però Zacharova sottintende il fatto che qualcuno, all'interno dell'establishment americano, possa pensare di propendere per certe soluzioni. È una narrazione da un certo punto di vista complottista, ma soprattutto una narrazione delegittimante nei confronti della politica statunitense.