PHOTO
Matteo Renzi Meloni Draghi
«Leggo che il vicepresidente del Csm intende denunciarmi per ciò che ho scritto ne Il Mostro. Non vedo l’ora di ricevere l’atto di citazione. Potrò dunque raccontare - libero da ogni forma di prudenza istituzionale - tutto ciò che in questi lunghi anni l’avvocato David Ermini ha detto, scritto e fatto». Da quando è praticamente uscito dalle rilevazioni dei sondaggi Matteo Renzi ha deciso di impiegare il proprio tempo nell’organizzazione della “vendetta”. Giornalisti, magistrati o avversari politici non conta, verranno comunque chiamati a rispondere del loro operato davanti a un giudice. Non che la sindrome da accerchiamento e del complotto sia del tutto infondata, ma il leader di Italia viva sente di aver subito così tanti torti e da così tanti fronti da pretendere sempre e comunque soddisfazione in Tribunale (e in banca). Persino quando sono gli altri ad annunciare querela contro di lui - come ha fatto l’ex amico Ermini, offeso per un passaggio dell’ultima fatica editoriale dell’ex premier in cui il vicepresidente del Csm viene accusato di distrutto «materiale ufficiale proveniente dalla procura di Milano», eliminando «il corpo del reato» - Renzi ne approfitta per rilanciare, lasciar intendere, “minacciare”. «Egli (Ermini, ndr) è diventato vicepresidente del Csm grazie al metodo Palamara e io sono uno di quelli che possono testimoniarlo». Come a dire: querela pure, così finisci sputtanato. Qualcosa di simile a quanto già dichiarato a proposito dei magistrati fiorentini intenti a indagare in maniera “creativa” e pubblica su Open. Così, per rispondere al «processo politico alla politica», come definito alla Leopolda di novembre, il senatore di Rignano fa del tanto vituperato processo mediatico un’arma da scagliare contro i propri avversari.