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Il professore Giovanni Orsina
Direttore Orsina, il Manifesto di Ventotene è considerato uno dei “momenti fondativi” dell’Europa moderna, dopo la sciagura dei totalitarismi: cosa rimane, nell’Europa di oggi, di quella mentalità?
Il Manifesto di Ventotene, innanzitutto, è un documento storico che appartiene a una stagione molto lontana dalla nostra. Appartiene anche alla storia dell’antifascismo, e questo gli dà una nobiltà aggiuntiva. È fra gli scritti fondativi di una delle anime del processo di integrazione europea, quella federalista. Dopodiché, quando Tajani dice che la sua Europa è quella di De Gasperi sta già parlando di una cosa diversa da quella di Rossi, Spinelli e Colorni. Per non dire poi dell’idea gollista di Europa, cui è più vicina Meloni, che è agli antipodi di Ventotene – ma ha dato anch’essa un contributo fondamentale all’integrazione.
Dunque non c’è da stupirsi dell’attacco di Meloni al manifesto?
Nel merito Meloni ha detto un’ovvietà, perché per i motivi di cui sopra non le si può chiedere che la sua Europa sia quella del Manifesto di Ventotene. La si può criticare se si ritiene che abbia mancato di rispetto a quella tradizione, ma non perché se ne è distaccata. Tutto si può chiedere a Meloni tranne che di sposare quell’idea di Europa.
La presidente del Consiglio ha criticato il Manifesto spiegando che quella descritta non è la sua Europa: qual è l’Europa che ha in mente Meloni?
Ovviamente il clima storico, rispetto al 1941, è cambiato completamente. Ciò detto, l’Europa di Meloni non è quella federalista. È un’Europa nella quale gli Stati nazionali sovrani restano tali e si coordinano sempre di più e sempre meglio intorno a una serie di politiche nodali, a partire da quella di difesa. Invece l’idea di Europa di Rossi e Spinelli è centrata sul trasferimento di poteri dagli Stati nazionali a una struttura federale. In sostanza, gli Stati Uniti d’Europa. Meloni pensa a un’Europa non sovranazionale, ma intergovernativa. E va detto che oggi è un’idea che ha molte più chances rispetto a quella federalista. L’affezione della sinistra italiana per Ventotene è comprensibile e identitaria, ma oggi quel modello è in grande difficoltà.
Eppure Tajani alla fondazione De Gasperi si è detto a favore degli Stati Uniti d’Europa: nel centrodestra ci sono dunque due, se non tre, idee di Europa?
Mi pare indubbio. Potremmo anzi dire che, politicamente, la provocazione di Meloni è servita proprio a evitare di far emergere le divisioni nella maggioranza, e la reazione delle opposizioni è simmetricamente servita a coprire le divisioni sull’altro versante. Oggi le fratture sull’idea di Europa e le relazioni transatlantiche affliggono entrambi gli schieramenti. Dopodiché, Tajani viene da una tradizione popolare che si distingue da quella dei Conservatori, cui appartiene Meloni, perché ha una spinta sovranazionale più forte. Ma mi permetto di dire che l’Ue, da quando è nata nel 1992, ha sempre avuto al centro i Popolari, e nonostante ciò grandi passi in avanti federalisti non ne sono stati fatti. Fra il federalismo teorico e quello pratico, insomma, c’è uno iato non irrilevante.
Perché secondo lei la presidente del Consiglio si è sentita in dovere di creare una tale polemica, vista poi la prevedibile reazione delle opposizioni?
Mi pare che sia stato un gesto molto politico, utile a prendere una posizione forte e identitaria, cercando attorno a essa di risucchiare le fatture politiche presenti nella maggioranza. Dalle opposizioni le hanno risposto con la stessa moneta e con lo stesso obiettivo.
Come detto l’Europa non è solo Ventotene ma anche quella di Adenauer, De Gasperi e Schumann e tutto ciò ha garantito all’Europa decenni di pace e prosperità: cosa prevede per il futuro dell’Ue?
A me sembra difficile immaginare oggi grandi convergenze sovranazionali. Anche perché nel frattempo abbiamo allargato l’Europa a 27 Stati, 28 prima dell’uscita del Regno Unito: l’estensione è inevitabilmente andata a discapito dell’intensità. È evidente che maggiore l’eterogeneità, più difficile l’integrazione. Abbiamo certamente bisogno di più Europa, ma penso che, se l’avremo, sarà nella collaborazione sempre più stretta tra Stati nazionali. Mi pare che la soluzione federalista oggi sia più improbabile che mai.