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Quella del procuratore Nicola Gratteri non è un’indagine a orologeria - non in questo caso - e non c’è alcun disegno delle procure per “prendere il potere”. Oltretutto dovremmo trovarci di fronte a “menti raffinatissime” e servirebbe una sottigliezza politica fuori dal comune per immaginare e portare avanti un piano del genere. Senza contare che mai come oggi la magistratura italiana è dilaniata, divisa in fazioni e in uno stato di guerra civile permanente: un ritratto ben rappresentato dalla drammatica istantanea del caso Palamara. Ma il fatto che non ci sia il “dolo” non vuol dire che non ci sia un’anomalia e uno slittamento delle regole di ingaggio da parte di alcune procure.
E del resto la storia del nostro Paese è costellata di episodi del genere. È sufficiente fare un nome, Tangentopoli, per capire di cosa parliamo. Le indagini, gli arresti, le retate in diretta tv ordinate dal pool milanese non hanno semplicemente condizionato la politica ma l’hanno rasa al suolo; hanno smantellato la prima Repubblica permettendo la nascita di un nuovo sistema, di nuovi partiti, di nuovi leader e di un movimento che da allora in poi ha individuato nelle procure il centro da cui far partire il cambiamento politico del paese. Un filo rosso che lega le monetine del Raphael al Movimento 5Stelle arrivato in Parlamento con una narrazione panpenalista e populista.
Insomma, l’indagine di Gratteri ci ha portato di nuovo dentro il conflitto tra politica e magistratura, un luogo molto familiare e domestico qui in Italia. Ma la via d’uscita di questo conflitto non è dentro le procure. O non solo. Una parte della responsabilità è dentro le segreterie dei partiti - o di quello che ne è rimasto - e non perché i politici non siano in grado di vigilare sull'onestà dei propri candidati e del proprio personale - il grado di corruzione di un politico rispecchia quello del paese, né più né meno - ma perché la politica e i partiti sono diventati talmente fragili da non essere più in grado di assorbire un semplice avviso di garanzia senza farsi travolgere e terremotare. Insomma, il potere delle procure non è altro che il frutto di un passaggio di consegne, una delega che nei primi anni ‘ 90 la politica ha firmato in bianco ai magistrati. Sarebbe ora che quella stessa politica ritrovi il coraggio e la forza di imporre il suo ruolo democratico e il rispetto della Costituzione per cui si è colpevoli solo dopo tre gradi di giudizio e non dopo una conferenza stampa di un procuratore.