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È con le situazioni di emergenza che si misura la forza di uno Stato di diritto. Anzi, direi di più: lo Stato di diritto è tale proprio perché riesce a gestire l’emergenza senza dovere piegare la sua natura garantista. Le vicende, lontane e recenti, del terrorismo hanno messo a dura prova la stabilità di Paesi, in Europa e in America, che si fondano sul e che praticano il costituzionalismo, quale tecnica di libertà degli individui. Certo, sono stati emanati provvedimenti legislativi rigorosi e restrittivi, al fine di combattere una guerra che era stata mossa contro la democrazia liberale. Il cui nemico un tempo era interno al territorio e quindi individuabile, poi è diventato esterno e sparpagliato in giro per il mondo, animato da una furia anti- occidentale e da una esaltazione religiosa. Nei giorni del coronavirus la situazione è diversa.
E’ un’emergenza sanitaria da non sottovalutare e da reprimere ma non mette certo a repentaglio le fondamenta della democrazia liberale. Piuttosto esige un rafforzamento delle strutture statali, una maggiore efficienza amministrativa nel settore della sanità pubblica e una solidarietà tra cittadini, nella consapevolezza che chiunque potrebbe rimanere contagiato. Quindi, in una emergenza come quella che stiamo vivendo non occorrono leggi e atti ammnistrativi rigorosi e restrittivi ma soltanto, e non è poco, un buon governo della cosa pubblica, da gestire con competenza e senza procurare allarmismi.
E invece, purtroppo, anche in questa vicenda epidemica lo Stato di diritto sta conoscendo forme di attenuazione se non di lesione dello stesso. Mi riferisco all’annoso problema della privacy, che nel nostro Paese non ha mai veramente attecchito come cultura giuridica e nonostante l’impegno che a suo tempo dedicò Stefano Rodotà. Dovrebbe essere noto che ci sono dei dati “sensibilissimi” che non devono assolutamente essere divulgati a terzi, fra questi quelli concernenti lo stato di salute delle persone ( come anche le scelte sessuali, politiche, religiose). Lo afferma la legge e lo conferma il recente regolamento europeo. Il divieto di diffusione di questi dati è dato dalla salvaguardia della dignità della persona, architrave dello Stato di diritto, che potrebbe essere menomata. Anche attraverso forme di discriminazione sociale, che potrebbero essere compiute a danno di coloro di cui si conoscono scelte intimistiche oppure situazioni di sofferenza sanitaria.
E invece, purtroppo, leggiamo tutti i giorni nomi, abitudini, comportamenti di persone affette dal Coronavirus, addirittura vediamo i loro volti nelle fotografie, che circolano sui giornali e sul web. Senza che nessuno abbia detto nulla, ovvero si sia preoccupato di tutelare la privacy di questi cittadini incidentalmente colpiti da una epidemia contagiosa. Senza che il Garante della privacy sia intervenuto se non altro per ricordare e affermare il precetto normativo, nazionale ed europeo, a tutela dei cittadini e dei loro dati sensibili. Sebbene, l’ufficio del garante sia da un anno scaduto e quindi ancora in proroga, e senza che il Parlamento abbia provveduto alla sua sostituzione, nell’attesa di individuare il candidato più anziano di età per farlo diventare presidente. Meglio no comment…
Il Coronavirus ha poi messo a dura prova anche la tenuta del sistema regionale, che si è dimostrato quantomeno schizofrenico. Ma questo, per ora, è un altro discorso. Prima pensiamo ai diritti degli individui e allo Stato di diritto.