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Il Senato alle prese con una nuova legge sulla geografia giudiziaria
Riforma della giustizia: basta la parola? No: un conto è il penale, altro è il civile. Nel primo caso, fuoco, fiamme e mobilitazioni sono assicurate: parlare di manette e impunità porta consenso. Nel secondo, tabula rasa, se non fosse per gli avvocati. Perché? Semplice: prima di tutto, le questioni relative al processo civile non si prestano a volgarizzazioni giornalistiche. Non si parla di colpevoli che la fanno franca grazie alla prescrizione o di boss scarcerati con leggerezza. Si tratta più semplicemente della vita delle persone: la casa, il lavoro, l’affido dei figli, i rapporti con le banche. La vita nel senso pieno del termine. E sul mondo reale, i partiti lucrano poco. Parlare dei diritti delle persone, quelli veri, anziché dell’avversario politico da far marcire in galera, non porta voti. È innanzitutto per questo che i partiti non si spendono per cambiare la riforma Cartabia del civile. Non ne avrebbero vantaggi in termini di consenso. Poi certo, c’è un altro dettaglio. Molti degli stessi parlamentari che nelle commissioni Giustizia si dovrebbero occupare del ddl civile non hanno la preparazione adeguata per farlo. Distinguere fra le sfumature del rito societario o del lavoro richiederebbe una competenza ampia che non tutti padroneggiano persino tra i politici che vantano un’iscrizione all’albo degli avvocati (anche se magari non esercitano dall’epoca dell’esame di abilitazione). Perciò non avete sentito parlare finora di indignazione per i colpi al diritto di difesa inflitti dalla riforma governativa. A denunciarli è solo l’avvocatura. Il Cnf, l’Ocf, l’Aiga, le associazioni forensi e innanzitutto, come sempre, l’Unione nazionale Camere civili. È meglio che lo sappiate, cari avvocati: se non sarete voi a battervi, non lo farà nessuno al posto vostro. Un po’ perché sul civile non si lucrano voti. Un po’ perché chi dovrebbe farlo, diversamente da voi, non saprebbe da che parte cominciare.