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Almeno in buona parte a fare il miracolo fu il titolo: si si fosse chiamato Bramini, come da previsioni editoriali, avrebbe probabilmente sortito effetti infinitamente meno deflagranti. Invece un gagliardo editor, consapevole di quanto fondamen- tale siano i titoli per colpire la fantasia del pubblico leggente, ebbe la geniale idea di rubare il nuovo titolo a una battuta di Walter Veltroni: «Quando i partiti si fanno caste di professionisti la principale campagna antipartiti viene dai partiti stessi». Così i bramini furono derubricati a titolo del primo capitolo: «Una casta di insaziabili bramini». Il nuovo titolo, La casta, era destinato a fare storia.
Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, firme eccellenti del Corriere della Sera, martellavano già da un po’ con pezzi e inchieste su quelli che sarebbero poi stati universalmente definiti «Gli sprechi della politica». Il libro sommava, condensava e ampliava. Non era il primo libro- inchiesta in materia, due anni prima era uscito Il costo della democrazia, firmato da Cesare Salvi e Massimo Villone, ma se ne erano accolti in relativamente pochi. Dell’approdo nelle librerie del libro dei due giornalisti, il 2 maggio 2007, invece se ne accorsero tutti. Ha venduto un milione 200mila copie in un Paese dove con 20mila copie vendute si arriva di solito in cima alla classifica dei best seller e con 100mila si spopola.
Contribuì al successone anche il momento politico. Al governo c’era, per la seconda volta Romano Prodi, sostenuto con una coalizione che al confronto il costume d’Arlecchino sembrava un monocolore e quasi senza maggioranza al Senato. Trattative estenuanti, acquisti indispensabili voto per voto e legge per legge, fibrillazioni all’ordine non del giorno ma dell’ora erano la norma. L’immagine della politica, già fortemente lesionata dai ribaltoni dai repentini passaggi di fronte dei decenni precedenti, veniva quotidianamente deturpata dagli spettacoli che andavano in scena soprattutto a palazzo Madama, dove la maggioranza era di fatto quasi inesistente.
Ma se il caso Casta fosse limitato a un risultato per l’Italia straordinario in termini di vendite si tratterebbe di un particolare rilevante solo per la storia dell’editoria. Invece tracimò immediatamente. La formula divenne da un giorno all’altro adoperata da tutti e da ciascuno, inclusi i santoni della suddetta “casta” impegnati a rinfacciarsi l’uno l’altro l’immonda appartenenza sino a finirne tutti travolti. Berlusconi, nella scorsa legislatura, accusava Renzi di essere «un tipico esemplare della Casta». Il ragazzo di Rignano prometteva di «rottamare la Casta» e accusava i contrari alla sua riforma costituzionale di «aiutare la Casta a brindare» Il pregevole volume di Stella& Rizzo ha spento la decima candelina l’anno scorso, ma la conclusione della campagna è stata raggiunta in ritardo di un anno, con le elezioni del marzo scorso e poi con la nascita del governo per definizione, e ancor più per autodefinizione “anticasta”.
È possibile che nei salotti buoni dove editoria e azienda s’incontrano qualcuno abbia pensato a un uso strategico della campagna, il che non implica necessariamente che gli autori ne fossero consapevoli o complici. «Quelle inchieste - sosteneva nel 2013 Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corrierone - si accompagnavano a una campagna politica che, mettendo in luce le debolezze reali del governo Prodi, puntava sui tecnici che avrebbero dovuto avere alla loro testa Luca Cordero di Montezemolo». Il progetto fallì prima ancora di partire davvero. La delegittimazione rimase, mise radici, moltiplicò le forze con l’arrivo della Grande Recessione del 2008 e il conseguente impoverimento di moltissimi ma in particolare dei ceti medi scalzati dalla loro postazione mediana per precipitare, pieni di rancore, verso il basso.
Cosa il libro dicesse davvero è importante solo relativamente: La Casta è uno di quei libri che diventano bandiera e campeggiano sullo scaffale di casa senza bisogno di leggerli. Il catalogo delle turpitudini è comunque interessante. C’era un paragone tra i frugali politici del dopoguerra e quelli gargarozzoni e sprocetati dei tempi nostri. Si enumeravano i palazzi romani, spesso affittati a peso d’oro, che, sommati, compongono “il Palazzo” di pasoliniana memoria. Poi le auto blu, i voli di Stato, le spese del Quirinale che neppure le teste coronate, le mense a prezzi stracciati di Camera e Senato, pensioni baby e vitalizi, esenzioni Irpef per le donazioni ai partiti, spese imperiali per i vicerè, al secolo i presidenti di regione. E naturalmente la denuncia del finanziamento pubblico ai partiti, sopravvissuto per vie traverse alla sua ufficiale abolizione nel 1993.
Pioveva sul bagnato. La seconda Repubblica era figlia non di un’istanza di rinnovamento della politica, come da propaganda, ma di una pulsione antipolitica di cui proprio il referendum sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti era specchio. L’era Berlusconi, con l’inevitabile sospetto onnipresente di intrecci inconfessabili tra politica e affari aveva fatto il resto.
Il best- seller diffuse l’antipolitica ovunque con la rapidità di un virus. Non che dicesse cose finte, sia chiaro, ma l’architettura complessiva, che gli autori se ne rendessero conto o meno, finiva per accorpare in unico paniere di funghi velenosi cose tra loro diversissime come il finanziamento dei costi della politica, problema essenziale in ogni Stato democratico, e il famoso ristorante del Senato a prezzi stracciati.
Inoltre, in un Paese dove appunti simili andavano e andrebbero mossi a diverse “caste” inclusa quella dei giornalisti, veniva indicato un bersaglio preciso per l’indignazione popolare e uno sfogatoio impareggiabile per il rancore lievitato grazie alla crisi.
Il primo a cogliere i frutti del clima di ostilità generale nei confronti della Casta fu Beppe Grillo. Il 7 settembre del 2007, mentre le ristampe del libro nero della politica italiana venivano sfornate a getto continuo, organizzò il primo V- Day, il “Vaffa- Day”, culla dell’M5S che sarebbe nato due anni più tardi.
La vera testa pensante dell’operazione era però Gianroberto Casaleggio, che dal 2004 curava il blog di Grillo e che, all’iniziò, puntò soprattutto su Antonio Di Pietro, di cui pure curava il blog. L’Italia dei Valori, il partito fondato da Di Pietro, che nelle elezioni del 2008 superò il 4% e nelle europee dell’anno successivo raddoppiò, salvo poi essere travolto, dopo la rottura con Casaleggio, proprio dal sospetto di essere identico alla Casta, in versione ipocrita.
La campagna continua contro “la Casta” è il vero motore che ha portato alla vittoria elettorale M5S ma che gonfia anche le vele della Lega. M5S, consapevole dell’importanza del tema, fa a tutt’oggi in modo, dagli spalti del governo, di giustificare molte delle sue campagne o delle sue scelte, come quella di annullare la riforma delle intercettazioni del governo Gentiloni, come mossa contraria agli interessi “della Casta”.
È una campagna in un certo senso infinita. Quasi tutti i punti specifici trattati dal libro del 2007 sono stati da allora fortemente ridimensionati: il ristorante del Senato ha cambiato gestione e il rapporto qualità/ prezzi non è diverso da quelli di qualunque trattoria intorno a palazzo Madama, le pensioni sono passate al sistema contributivo già dal 2012 e anzi i politici sono la sola categoria per cui il riconteggio verrà applicato anche retroattivamente. Il parco di auto blu si è svuotato.
Ogni mossa dei politici è esposta a pubblica critica, al punto che l’allora presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro dovette giustificare, e ci riuscì a stento, l’essersi fatta aiutare dagli uomini della scorta nel portare un pesante cestello della spesa. L’anno scorso, però, un sondaggio dimostrava che secondo lettori ed elettori rispetto al 2008 nulla era cambiato.
In un certo senso è davvero così. Sulla scia di La Casta sono uscite numerosissime inchieste che denunciavano situazioni simili a proposito di altre “caste”, senza destare neppure un centesimo dello scalpore provocato dai due giornalisti del Corriere. A rendere così insopportabili i privilegi dei politici è infatti la loro delegittimazione, la sensazione che siano a volte inadeguati e spesso superflui. Non è un problema che si possa risolvere con qualche auto blu in meno e neppure abolendo vitalizi.