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«L’ipotesi di un’alleanza di Cosa nostra con il terrorismo politico – in particolare con la destra eversiva dei Nuclei armati rivoluzionari ( Nar) e di Terza posizione ( Tp) – è quella sulla quale stava lavorando Giovanni Falcone negli anni 1986- 1987, prima di venire emarginato dai capi degli uffici inquirenti di Palermo», afferma Giuliano Turone. Turone è il magistrato che indagò Michele Sindona nell’inchiesta sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli e poi dispose nel 1981 la perquisizione, insieme al collega Gherardo Colombo, a carico di Licio Gelli.
Grande conoscitore della indagini di criminalità organizzata ed eversiva, ha fatto parte del primo gruppo di magistrati in servizio presso la Procura nazionale antimafia. Ha pubblicato nel 2019 per Chiarelettere Italia occulta. Dal delitto Moro alla strage di Bologna. Il triennio maledetto che sconvolse la Repubblica ( 1978- 1980), nel quale ha svolto anche una analisi sull’omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio del 1980 a Palermo.
Fra le piste investigative affrontate da Turone, quella appunto di un patto fra Cosa nostra e i Nar di Valerio Fioravanti. «Dalle indagini svolte sull’omicidio di Mattarella non è emersa la possibilità di individuare gli autori materiali del fatto in soggetti gravitanti nelle organizzazioni mafiose. I collaboratori di giustizia hanno dichiarato di non sapere chi fossero i killer né a quale famiglia appartenessero. Inoltre la moglie di Mattarella, la signora Irma Chiazzese, non ha ravvisato nessuna somiglianza tra lo sparatore e le immagini di soggetti mafiosi che le sono state sottoposte», premette Turone, precisando però che «l’inesistenza di piste mafiose riconducibili agli autori materiali del crimine non implica affatto l’esclusione della matrice mafiosa dell’omicidio Mattarella».
L’omicidio di Mattarella viene presentato come «un omicidio del tutto anomalo» nella relazione dell’Alto commissariato antimafia del 1989 a firma di Loris D’Ambrosio, «maturato in quel composito ambiente umano e politico che, al fine di accrescere il proprio potere economico, affaristico e istituzionale, (…) si presta a gestire gli interessi pubblici secondo schemi e principi tipicamente delinquenziali. Non si tratta, allora, di un omicidio di mafia, ma di omicidio di “politica mafiosa”: nel quale, cioè, la riferibilità alla mafia come “organizzazione” deve necessariamente stemperasi attraverso una serie di passaggi mediati, di confluenze “operative” e “ideative” apparentemente disomogenee ma in grado di dare, nel loro complesso, il senso compiuto dell’antistato».
Il coinvolgimento di Valerio Fioravanti nell’omicidio di Mattarella risale al 1982, dopo la testimonianza del fratello minore Cristiano, collaboratore di giustizia, secondo cui «Valerio si trovava in quel tempo ospite a Palermo di Francesco Mangiameli, un dirigente di Terza posizione». «Valerio – proseguì il fratello - aveva fatto numerosi viaggi in Sicilia insieme a Gilberto Cavallini», poi coinvolto nella strage della stazione di Bologna. Nel 1985 Cristiano fu ancora più preciso, affermando che anche Francesca Mambro, la compagna di Valerio, intorno all’Epifania del 1980 si trovava a Palermo. A rafforzare le dichiarazioni accusatorie di Cristiano, il riconoscimento da parte della vedova di Mattarellla di Valerio Fioravanti come il killer del marito. Una pista che non è stata seguita con la dovuta attenzione è, invece, quella relativa alla targa della Fiat 127, rubata la sera prima del delitto, con cui i killer di Mattarella si allontanarono dal luogo del delitto.
Una targa “composta”: quella della vettura rubata era PA 536623, quella usata in concreto era PA 546623. Nel 1982 vennero rinvenute dei pezzi di targa in un covo romano di Terza posizione. Fioravanti era solito usare più targhe di cui modificava i numeri. Pochi giorni dopo la perquisizione romana, i carabinieri di Torino rinvennero in un altro covo di Terza posizione nel capoluogo piemontese due pezzi di targa che avevano l’aspetto di una targa componibile proprio con i pezzi residuati dal camuffamento di targa operato dagli assassini di Mattarella. Nel 2004 tali reperti vennero stati distrutti. «Se fossero approfonditi a suo tempo sarebbe stato possibile ricostruire in modo completo le dinamiche dell’omicidio Mattarella», conclude Turone, ribadendo comunque «che Fioravanti e Cavallini sono stati assolti con sentenza definitiva dall’accusa di concorso nell’omicidio Mattarella» e tale ricostruzione è ora di «interesse meramente storico».