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SAGGISTA, SCRITTORE
Una lettura critica del testo del piano di ripresa e resilienza italiano. Il duello da vari giorni in atto sulla governance mista, politico- tecnica, del Piano di ripresa e resilienza- Nextgeneration. EU Italia, ha finito per porre sin qui in secondo piano un'altra questione, non di minor rilievo di quella della governance, che riguarda i contenuti e gli indirizzi della bozza di piano, su cui vale la pena accennare qualche riflessione.
Come è ormai noto, i sei filoni di fondo del piano tendono a rispettare in linea di massima, pur con qualche variante, le indicazioni di Bruxelles: a) digitalizzazione, innovazione, competività e cultura ( per 48,7 Miliardi di euro); b) rivoluzione verde e transizione ecologica ( per 74,3 Miliardi di euro); c) infrastrutture per una mobilità sostenibile ( per 27,7 Miliardi di euro); d) istruzione e ricerca ( per 19,2 Miliardi di euro) e) parità di genere, coesione sociale e territoriale ( per 17,1 Miliardi di euro); f) salute ( per 9 Miliardi di euro).
Si tratta indubbiamente di un piano di intervento a largo raggio, che incide su fattori cruciali del Paese, ma se si guarda dentro le singole variabili in cui si articolano le aree si ritrovano non poche luci ma anche varie ombre. Proviamo ad indicarne alcune. Quanto alla prima area, se vanno accolti positivamente i 35,5 miliardi riservati alla competività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione delle imprese, decisamente limitata sembra la voce di 3,1 miliardi riservata alla cultura e al turismo, soprattutto alla luce delle sofferenze di tali settori a seguito del Covid- 19.
Stona poi decisamente, come è già stato da varie parti rilevato, la miserevole cifra di 9 miliardi destinata alla sanità, che dovrà essere indubbiamente corretta e che riguarda solo l'assistenza di prossimità e telemedicina e l'innovazione e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria. Forse ha potuto pesare qui una sorta di retropensiero secondo cui non c'è bisogno di accedere ai 36 miliardi del MES sanità e quindi non andavano evidenziati i ben altri fabbisogni delle nostre strutture sanitarie spesso labili e bisognose di ben altri investimenti. Salvo invece - chissà! - se non ci si sia voluta tenere aperta la porta per ricorrere per questi fabbisogni al MES sanità..
L'elenco potrebbe proseguire, ma mi fermo ad un'altra voce che mi sembra ampiamente sottostimata in seno all'area “parità di genere e coesione sociale e territoriale”. Quella che riguarda “giovani e politiche del lavoro”, che ammonta a 3,2 miliardi. Visti gli ampi ritardi nelle politiche per l'impiego e per il lavoro è necessaria una riforma radicale dei centri pubblici per l'impiego, accompagnata dall'avvio finalmente ( al 31 Marzo scadranno fra l'altro i divieti di licenziamenti e le casse integrazioni) di serie forme diffuse di politica attiva del lavoro, da una riforma dell'Anpal e da un portale unico nazionale idoneo a mettere in contatto specie per i giovani l'offerta e la domanda di lavoro. E poi occorrerà incentivare e sostenere, specie, ma non solo, al Sud, il lavoro giovanile. Mi sembra un'azione complessa su cui è necessario investire, nella proiezione che deve avere il Recovery Plan nei prossimi anni una mole di risorse più significativa. E' stato poi osservato da qualche esperto che dall'insieme delle azioni della bozza del piano di ripresa e resilienza non emerge quel progetto, quell'azione globale di sistema per il Paese di cui tanto ci sarebbe bisogno e rispetto al quale c'era molta attesa. C'è poi un ultimo punto di non poco rilievo, evidenziato con la consueta competenza da Federico Fubini sul Corriere della Sera e sin qui sfuggito a molti. Secondo Fubini «l’Italia sta rinunciando a una quota di investimenti in più per poco meno 100 miliardi di euro – sui 208,6 offerti al Paese perché non può far salire ancora di più il debito pubblico”. Egli spiega che i sussidi da Bruxelles per 65,5 Miliardi saranno usati per investimenti aggiuntivi ( del resto il Governo non deve rimborsarli). Invece sempre lo stesso Fubini spiega che nel documento del Governo si legge che “Per i prestiti si ipotizza che una quota ( 40 Miliardi ) venga usata per iniziative additive”, cioè in più, non previste senza Recovery Fund. Lo stesso documento ipotizza che “la restante parte venga utilizzata per finanziare investimenti e altre misure che sarebbero state supportate da risorse nazionali”.
In pratica si mantengono i piani che già c'erano ma verrebbero finanziati con prestiti del Recovery Fund. Verrebbero a mancare quindi sempre secondo Fubini, 88 Miliardi di investimenti aggiuntivi che potrebbero dare una spinta supplementare alla crescita. Quindi, per non far salire troppo il debito pubblico, sempre secondo Fubini la spinta del Recovery Fund per i prossimi sei anni non sarebbe più di 209 Miliardi ma di 120 Miliardi.