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A distanza di 31 anni dalla caduta del muro di Berlino, emblematico del comunismo, e a 28 dal crollo giudiziario della cosiddetta prima Repubblica con l’esplosione di Tangentopoli e le indagini note come “Mani pulite”, potrebbe apparire ozioso o quanto meno inattuale fare le pulci, diciamo così, a qualcuno dei protagonisti di allora della politica italiana che riscrive quella storia a modo suo, dimenticando o omettendo passaggi per lui troppo scomodi. E’ appena accaduto all’ultimo segretario del Pci, l’ormai ottantaquattrenne Achille Occhetto, nella lunga e, a dir poco benevola, intervista fattagli per il Corriere della Sera dall’ex compagno di partito e poi primo segretario del Pd, Walter Veltroni.
Maggiori problemi, obbiettivamente, premono sulla collettività nazionale ed assorbono l’attenzione, le ansie, le paure, più ancora delle speranze del nostro Paese. Che però deve i suoi guai - a cominciare dalla intricatissima e paralizzante situazione politica, fatta di equilibri anomali non estranei alle difficoltà, a dir poco, della partecipazione all’Unione Europea, come ha appena dimostrato il vertice comunitario a Bruxelles - ai guai della sinistra. Da cui derivò nel 1994 la nascita, per reazione, di un centrodestra non meno anomalo del campo opposto.
A sentire Occhetto, o a risentirlo, i guai della sinistra italiana derivano dal solito Bettino Craxi. Che, caduto il muro di Berlino, prima cercò di annettersi l’orfano Pci con una “unità socialista” affissa sui muri o stampata sulle bandiere del Psi, alle finestre della sede di via del Corso, con la smania del conquistatore. E poi, per amore di potere e paura di rompere con la Dc, coprendosi dietro gli umori e le avidità dei suoi compagni di partito, avrebbe lasciato cadere l’offerta fattagli proprio da Occhetto di rifondare la sinistra, o unirla, in un bagno di opposizione che sarebbe stato di breve durata.
Prima o dopo essa avrebbe espresso, secondo Occhetto, tale e tanta “energia” da eliminare il vantaggio numerico di cui lo Scudo crociato avrebbe potuto ancora disporre recuperando i vecchi alleati di centro, dopo le elezioni del 1992, e spostandosi a destra. «Forse hai ragione», ha raccontato Occhetto riferendo della risposta ricevuta da Craxi in un incontro apertosi in modo già assai poco promettente, parlando «dell’odio che ormai c’era tra i popoli socialista e comunista». Tuttavia a quel riconoscimento della ragione del suo interlocutore, Craxi avrebbe aggiunto, riferendosi al proprio partito: «Questi che mi stanno intorno, se vado anche solo un giorno all’opposizione, mi fanno fuori» : forse persino Claudio Martelli, col quale lo stesso Occhetto ha raccontato, o confermato, di avere instaurato allora un rapporto diretto, persino comiziando insieme in una piazza al Nord. Ma Martelli si era spinto anche se l’ex segretario del Pci non lo ha ricordato - a offrirsi in qualche modo al presidente della Repubblica in carica in quel momento, il dc Oscar Luigi Scalfaro, per la guida, o la partecipazione ad un governo guidato da Enzo Scotti, in grado di guadagnarsi la benevola astensione o attenzione del Pds- ex Pci.
Credo sinceramente a quel «forse hai ragione» di Craxi raccontato da Occhetto, perché posso testimoniare personalmente l’apertura, del resto fatta persino in pubblico, del leader socialista nella direzione voluta dal suo dirimpettaio di sinistra. «Insieme al governo o all’opposizione», disse in una dichiarazione Craxi parlando del Pci dopo le elezioni del 1992 vinte, ma su misura, dal vecchio centrosinistra allargato nel cosiddetto “pentapartito” ai liberali. Proprio a me - che gli feci notare in una telefonata, dopo avere raccolto le preoccupazioni del nostro comune amico e segretario della Dc Arnaldo Forlani, il curioso “ritorno” di quella sua enunciazione alla linea del predecessore alla guida del Psi Francesco De Martino appiattita sui comunisti-Craxi rispose o spiegò, come preferite: «E’ un passaggio tecnico che debbo concedere a Occhetto per la modestia del risultato elettorale, ma sarà inutile. A liquidare il problema saranno gli stessi comunisti o post- comunisti, come preferiscono essere chiamati».
Non aveva torto. In effetti, dopo qualche giorno, quando si era appena aperta una riunione della Direzione socialista in cui si doveva mettere a punto la linea del Psi per l’avvio della nuova legislatura, arrivò dalla direzione del Pci, riunita anch’essa, una pregiudiziale “di carattere morale” sollevata contro Craxi e il suo partito da Occhetto. Era una pregiudiziale ostativa sia di una maggioranza sia di un’opposizione comune. Di fronte a quella specie di schiaffo, Martelli sbiancò. Craxi invece sorrise per la conferma che aveva appena ricevuto delle sue convinzioni sul conto dei fratelli o compagni- coltelli della sinistra.
Lo stesso Occhetto, d’altronde, nell’intervista a Veltroni guardatosi bene dal contrastarne in qualche modo il racconto, ha riconosciuto che la caduta del comunismo avrebbe potuto provocare ben altri sviluppi nella sinistra italiana se non ci fosse stata la “sovrapposizione” - l ’ ha chiamata così, precisando di non voler con ciò fare polemica con i magistrati - di Mani pulite. Che fece «sfuggire il controllo del processo alla politica», intendendosi ovviamente per processo l’evoluzione dei rapporti nella sinistra.
Ma a cavalcare le inchieste giudiziarie sul diffusissimo fenomeno del finanziamento illegale dei partiti, pur di demolire i socialisti e spingere Craxi all’esilio - o latitanza, come preferiscono ancora chiamarla i suoi avversari anche dopo la morte - fu proprio Occhetto. Che a questo punto, francamente, non può lamentarsene, e neppure dare l’impressione di farlo, senza offendere insieme la verità e l’intelligenza comune. Ora l’ultimo segretario del Pci si goda pure i risultati dei suoi errori: dalla sconfitta elettorale, politica e personale, del 1994 ad opera di Berlusconi alla convivenza spesso subalterna di quel che è rimasto della sinistra con i grillini. Che Massimo D’Alema considera, come i leghisti degli anni di Bossi, una costola della sinistra. Malmessa, come si vede, da parecchio tempo.